\"\"Nel suo ultimo intervento all’Assemblea Costituente, nella 346^ seduta del 22 Dicembre 1947, proprio il giorno dell’approvazione della Costituzione, Piero Calamandrei ricordava qualcosa che era diventato per lui una preoccupazione assillante. Motivando il ritiro della proposta di alcune parole introduttive da premettere come epigrafe alla Costituzione, in ciò indotto dal presidente dell\’Assemblea Terracini, ma solo per motivi procedurali, così concludeva Calamandrei:

“Io avevo pensato, e ve lo dico unicamente perché desidero che questo rimanga agli atti dell’Assemblea, ad un richiamo sul quale credo che tutti noi ci saremmo trovati concordi; in un richiamo cioè ai nostri Morti, a coloro che si sono sacrificati, affinché la grande idea per la quale hanno dato la vita si potesse praticamente trasfondere in questa nostra Costituzione che assicura la libertà e la Repubblica. Forse, questa nostra Costituzione in pratica, per taluni aspetti, è inferiore alla grandezza della loro idea; ma tuttavia ad essa ha voluto ispirarsi. Per questo io avevo in animo di proporre che la nostra Costituzione incominciasse con queste parole: <Il popolo italiano consacra alla memoria dei fratelli caduti per restituire all’Italia libertà e onore la presente Costituzione>. Nel chiudere i nostri lavori noi abbiamo pensato a coloro senza il sacrificio dei quali noi non saremmo qui, questo io spero che rimarrà scritto negli atti della nostra Assemblea\”.

Con queste parole si chiudevano i lavori dell’Assemblea Costituente. Un’altra conclusione non poteva essere più felice.

Chissà se nel 2011 saremo finalmente giunti a “liberarci” di quell’idea di considerare la Liberazione nella sua dimensione prettamente di contesa ideologica, espressione di uno spirito e di una coscienza che viene considerata esclusivamente come di parte e riconoscerle, viceversa, quel ruolo e quel significato di grande portata che pure gli spetta, come ha ricordato da ultimo ieri l’altro, il Presidente Napolitano.

Liberali, cattolici, militari, repubblicani, azionisti, comunisti, socialisti, socialdemocratici, si mobilitarono con generosità nello sforzo di respingere l’occupazione nazista, lasciando sul campo decine di giovani morti, i “100.000 Morti” di cui parla Piero Calamandrei, che agivano per un solo fine: l\’amore per la Libertà e che culminò nella nostra Carta Costituzionale, alla costruzione della quale parteciparono gran parte delle domme e degli uomini che avevano partecipato a quel movimento.

Fra i padri costituenti c’era un vissuto comune, una comune esperienza di vita. Quella temprata dalla guerra, ma ancor prima dall’<università del carcere>, dove fermentò l’intesa fra operai ed intellettuali, così come fra laici e cattolici, fra liberali, comunisti e socialisti, chi più chi meno tutti perseguitati dalla dittatura, dato che le galere fasciste si aprirono per Gramsci e per Pertini, per Nenni e per Terracini, ma anche per De Gasperi. D’altra parte a Napoli fu devastata la casa di Benedetto Croce al pari di quella di Arturo Labriola. E Don Sturzo sperimentò l’esilio non diversamente da Togliatti.

Erano uomini di una pasta speciale, i nostri padri fondatori. Le nuove istituzioni vennero progettate da un’élite, da un gruppo composito e compatto di intellettuali e di politici quali forse mai l’Italia aveva avuto nel passato e sicuramente mai più avuto nel futuro. Ecco perché quella generazione riuscì infatti a licenziare una Costituzione che le è sopravvissuta. Agendo secondo il verso dantesco, <come quei che va di notte, che porta il lume dietro e a sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte>. Lo ricordò in un suo celebre intervento proprio Piero Calamandrei, costituente fra i più illustri.

Il 25 aprile condensa in sé tutto questo: la libertà ritrovata di un popolo piegato da un ventennio drammatico, ma anche la speranza per uno stato moderno, fondato sul diritto e sul ripudio della guerra come strumento di offesa. Intellettuali e operai, credenti e atei, soldati caduti nello sbando dopo il volta faccia badogliano seguito all\’8 settembre, uomini e donne in posizione finalmente paritaria che hanno creduto nella lotta armata come strumento di liberazione e di liberazione per il futuro.

Uno spirito riassunto in poche righe, che non lasciano spazio al fraintendimento, nelle parole che Calvino ne “Il sentiero dei nidi di ragno,” affida al comandante Kim, quando di fronte alla domanda del compagno Ferriera, cioè \”quindi, lo spirito dei nostri… e quello della brigata nera… la stessa cosa?…\”, Kim risponde: \”la stessa cosa, intendi cosa voglio dire, la stessa cosa… la stessa cosa ma tutto il contrario perchè qui si è nel giusto, là nello sbagliato. […] L\’altra è la parte dei gesti perduti, degli inutili furori, perduti e inutili anche se vincessero, perchè non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell\’odio, finchè dopo altri venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restare schiavi. Questo è il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali. Una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni…\”.

Ecco perché con limiti ed errori, con eccessi e con la loro caratteristica di minoranza ma sorretta da un sentire comune maggioritario nel Paese, l’Antifascismo e la Resistenza, che hanno dato come migliore frutto la Costituzione, erano dalla parte della Ragione. E se per l’Italia di oggi possiamo continuare a serbare un minimo di affetti, e per quella di domani un minimo di aspettative e speranze, è solo grazie a coloro che scelsero di scegliere, e scelsero non la parte dei vincitori, come si vuol ancora insinuare da parte di qualcuno oggi, ma la parte dei giusti.

articolo di Fernando Orsini e foto di Paride Leporace

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