Intervista di Mario Cagnetta (Corriere Canadese)
Una “locale” a Toronto e un’altra a Thunder Bay. Entrambe composte da «decine» di ’ndranghetisti esclusi i “simpatizzanti” o “favoreggiatori’. E questo vale soltanto per l’Ontario. Usa una terminologia tecnica il procuratore di Reggio Calabria Michele Prestipino, uno dei titolari dell’inchiesta che ha portato all’Operazione “Crimine 2” contro la ’ndrangheta calabrese con 41 arresti in Italia e anche all’estero. In Canada pendono cinque ordinanze di custodia cautelare nei confronti di Carmine Verduci residente nella York Region considerato il capo della “locale” di Toronto e altre quattro nei confronti di componenti della “locale” di Thunder Bay. Un legame quello della ’ndrangheta e l’Ontario che era già emerso con l’arresto del boss latitante Giuseppe Coluccio nell’agosto del 2008 a Markham e che conferma ancora le connessioni esistenti, i traffici e i giri di affari che ruotano intorno a questa provincia.
Ci parli della presenza della ’ndrangheta in Canada.
«È una presenza consolidata da tempo se pensiamo proprio all’arresto di Giuseppe Coluccio nel 2008. È complicato e allo stesso tempo semplice spiegare questo legame. La ’ndrangheta è l’unica mafia al mondo che tende non soltanto a infiltrarsi e radicarsi fuori dal suo territorio di origine, che è la provincia di Reggio Calabria. Quello che la differenzia dalle altre mafie è il suo modello espansionistico molto originale. Ove si espande, infatti, si stabilizza. Ciò non vuol dire che lascia sul territorio delle persone che costituiscono un punto di riferimento ma tende a ricreare sui nuovi territori, come il Nord Italia, l’Europa e anche il Canada, gli stessi moduli criminali in vigore nel territorio di origine. Ciò significa replicare la stessa organizzazione fatta di strutture e articolazioni chiamate “locali” che poi confluiscono nelle “società” e gli “organi di vertice” sul territorio colonizzato. E implica anche l’applicazione degli stessi modelli di controllo economico, sociale grazie ai quali predomina in Calabria».
Questo sembra soltanto un inizio. Le conseguenze quali sono?
«Proprio qui sta la gravità: dalla sua presenza stabilizzata deriva, infatti, un fortissimo e progressivo inquinamento del territorio colonizzato in termini di alterazione delle regole dell’economia, delle regole sociali e della politica. Questo è accaduto ovunque. Nel Nord Italia, per esempio, in alcune cittadine abbiamo registrato procedimenti penali a carico di uomini appartenenti alla pubblica amministrazione e alla politica per reati commessi in chiara collusione con pezzi della ’ndrangheta al Nord».
Questo modello sta corrodendo anche il territorio canadese?
«Non ho elementi per dirlo. Il modello però è sempre usuale. Ovunque sono arrivati i soldi dei mafiosi, è arrivato in seguito anche il metodo ’ndranghetista. L’illusione di utilizzare i soldi della ’ndrangheta senza avere la ’ndrangheta e i mafiosi in casa tenendo fuori dalla porta i problemi, è una pia illusione. La realtà dimostra esattamente il contrario. Dove circolano i soldi dei mafiosi arrivano di conseguenza l’alterazione delle regole, la violenza, l’oppressione e le intimidazioni mafiose».
Che cosa contestate a Carmine Verduci, da anni residente nella York Region?
«A suo carico, come degli altri coinvolti in questa operazione, contestiamo il reato di partecipazione all’associazione di tipo mafioso. Queste persone, gestendo l’organizzazione all’estero e mantenendo operativo il collegamento con la Casa madre “Reggio” e la provincia, avevano un filo diretto anche personale con la casa madre. Periodicamente si spostavano dal Canada in Italia, andavano a Siderno e parlavano con uno dei boss più potenti che aveva il compito di tenere il collegamento con queste articolazioni canadesi. Tutti quanti prendevano ordini sul da farsi e poi se ne tornavano in Nordamerica. Del resto, la presenza dei fratelli Coluccio, è la dimostrazione più evidente del fatto che ci fosse anche in Ontario una struttura a disposizione di tutta l’organizzazione».
Carmine Verduci, secondo voi sarebbe, il capo della “locale” di Toronto?
«Esattamente».
Com’è organizzata questa struttura in Ontario?
«Il modello è sempre lo stesso: ci sono delle cellule di base che sono le ’ndrine collocate all’interno di una struttura articolata territorialmente chiamata “locale” che a sua volta risponde a un “organo di vertice”. In Canada dalle indagini si desume che esistono due “locali”: una a Toronto e l’altra a Thunder Bay».
Quanti sono gli ’ndranghetisti della “locale” torontina?
«Non ho numeri a disposizione. Posso soltanto dire che nel territorio calabrese, dove c’è una “locale” esiste anche un numero minimo di componenti che si quantificano in diverse decine. Quando parlo di componenti, mi riferisco agli “affiliati”, agli “organici” senza comprendere i collusi e i favoreggiatori».
Anche a Toronto il punto di partenza è costituito da una famiglia?
«Il modello identitario si costruisce sullo stesso nucleo familiare ma non si esaurisce in essa».
E di che cosa si occupano queste “locali”. Quali giri di affari hanno?
«Per capire il loro raggio di azione dobbiamo avere chiari alcuni presupposti. La mafia non ha ideologie e la ’ndrangheta ha una grandissima disponibilità economica a differenza di altri operatori onesti che devono sforzarsi di reperire le risorse. Il “problema” di questa organizzazione criminale è l’eccesso di risorse finanziare che devono essere investite. La scelta naturalmente cade in posti, in territori dove questi soldi sporchi sono meno riconoscibili e meno facilmente ricollegabili all’organizzazione stessa».
E quindi esistono territori dove è meglio investire rispetto ad altri. L’Ontario è uno di questi?
«In generale devono essere aree pulite, sane, dove questi soldi vengono fatti defluire spesso e volentieri in attività imprenditoriali lecite. Si tratta, dunque, di imprese legali alimentate da capitali illeciti. La ’ndrangheta investe ovunque ci sia la possibilità di fare reddito e di ricavare guadagni dagli investimenti. Di conseguenza non c’è un ramo in particolare: possono essere settori immobiliari, del commercio, dell’imprenditoria attraverso il finanziamento di attività che hanno problemi di liquidità. In questo caso, la ’ndrangheta interviene in veste di finanziatore e rimpingua le casse dell’impresa che così riparte con il vincolo di un nuovo padrone mafioso. L’immissione di queste risorse nei settori sani dell’economia altera le regole del mercato e ha effetti devastanti».
Può farci un esempio su come questo sistema ci concretizza?
«L’operatore commerciale che fa confluire capitali sporchi, non ha più il problema di vendere sottocosto. Perché può alterare il mercato dei prezzi grazie al flusso di denaro sporco che copre la differenza di prezzo che si viene a creare. Lo stesso vale per chi compra perché può comprare a un prezzo più alto grazie ai capitali sporchi che gli permettono di non ricorrere al credito. In questo modo vengono escluse le imprese oneste che non possono competere».
In Canada non esiste il reato associativo ed è probabile che nessuno arresterà questo Verduci. Come intendete muovervi?
«Da almeno due anni cooperiamo e collaboriamo con le altre autorità giudiziarie. Questi strumenti non sono uguali per tutti gli Stati. In questa occasione abbiamo eseguito arresti in Italia e in Germania grazie a legami consolidati nel tempo. Chiaramente, il fatto che ci troviamo a interloquire con un Paese come il Canada che non conosce il reato associativo, crea qualche problema. Ma noi speriamo di superarlo molto presto».
In che modo visto che in Canada nessuno pensa di emendare la Costituzione?
«In passato neanche altri Stati prendevano in considerazione le nostre richieste. Ora invece ci seguono. La cooperazione internazionale ha fatto passi in avanti e mi auguro ne faccia ancora di più».