Scordatevi la mafia dei brutti ceffi, quella che campava di estorsioni e droga: oggi è un sistema criminale misto, legale e illegale, che solo in Italia “vale” qualcosa come 60 miliardi di euro, coinvolgendo imprese, banche, finanza e pubblica amministrazione. Se non si interviene con nuove leggi internazionali, domani a dettare le regole della politica mondiale potranno essere la mafia russa o quella cinese, in affari con gli eredi ormai evolutissimi degli antichi capiscuola italiani, che ora dirigono fiorenti aziende, pilotano deputati e manovrano colletti bianchi. Un’emergenza planetaria: la mafia investe e inquina l’economia globalizzata. E’ la nuova vera superpotenza. Un virus, con migliaia di complici al di sopra di ogni sospetto.
La denuncia è firmata da Roberto Scarpinato, già pm antimafia di Palermo e ora magistrato a Caltanissetta. Scarpinato è intervenuto a Bruxelles a fine marzo nella discussione del Parlamento Europeo sulla strategia europea per fronteggiare la nuova emergenza: il crimine organizzato transnazionale. Un’epidemia che ormai dilaga, protetta da storici pregiudizi culturali: la convinzione che le mafie appartengano ancora alla nicchia della malavita, magari nei paesi dove le cosche vantano un radicamento tradizionale. Purtroppo la realtà è ben altra: «Il mondo del crimine transnazionale e il mondo delle persone normali sono due facce della stessa medaglia, anzi si alimentano a vicenda», premette Scarpinato. «Ciò che ci illudiamo di combattere fuori di noi, è già dentro di noi, dentro la quotidianità della nostra vita».
Primo livello dell’infiltrazione: molti di noi sono consumatori – spesso inconsapevoli – di beni e servizi di origine mafiosa: stupefacenti, prostituzione, sfruttamento schiavistico del lavoro, armi, materiale pedo-pornografico. E poi: denaro, capitali da investire, smaltimento di rifiuti tossici con modalità illegali, fatturazioni false per evadere le tasse. E ancora: “facilitazioni”, mediante l’uso della violenza o della corruzione, per ottenere licenze e concessioni da parte delle pubbliche autorità. L’offerta è forte perché la domanda è fortissima: «I criminali esistono e prosperano perché milioni di cittadini chiedono di acquistare beni e servizi illegali». Sono lo specchio che riflette i vizi segreti di tanta gente comune nei più disparati paesi del mondo.
E’ un fenomeno di mercato, regolato dalle leggi della domanda e dell’offerta. Solo che oggi la domanda di beni e servizi offerti dalle mafie «ha assunto dimensioni macroeconomiche, non più governabili solo con gli strumenti del diritto penale». Motivo: la globalizzazione dell’economia ha ampliato a dismisura la quantità dei consumatori finali e dei beni offerti. Esempio: il mercato della cocaina. Negli anni ’80 era già saturo e i prezzi erano crollati. Poi, col boom della globalizzazione, la “coca” ha avuto un’impennata. Solo in Cina, si conta sulla nuova borghesia abbiente, 250 milioni di persone. Calcolando anche l’Est europeo e gli altri paesi emergenti, si prevede che i cocainomani cresceranno a milioni: fra vent’anni saranno il 15% della popolazione mondiale.
L’esplosione internazionale dei consumi di droga, che rende sempre più impotenti le polizie nazionali, sembra un fatto solo criminale, ma non lo è: «Gli introiti derivanti dal nuovo mercato mondiale della droga subirebbero un salto di scala tale da consegnare alle organizzazioni criminali transnazionali una quota di ricchezza, e quindi di potere globale, superiore a quella degli Stati e delle più grandi multinazionali». Una prospettiva da incubo: il governo criminale del pianeta. «La successiva trasformazione in termini politici di tale potere economico comporterebbe la costruzione di una nuova gerarchia di fatto tra i poteri del mondo». Per questo, spiega Scarpinato, c’è chi prevede un’unica via d’uscita: la depenalizzazione delle droghe, per togliere alle mafie l’infinita disponibilità di denaro.
Proprio grazie ai colossali affari finora sviluppati, la criminalità transnazionale è già ora divenuta «uno degli attori del grande gioco dei poteri nel mondo». Lo conferma uno sguardo all’altro macro-fenomeno, la prostituzione. Risale agli anni ’90 l’invasione di prostitute dell’Est: donne disperate, ridotte a vendersi dopo il crollo dell’Urss che garantiva loro una dignitosa occupazione femminile pari all’80%. Fortissima peraltro la domanda, persino in paesi come Israele. Di qui la necessità di gestire il traffico su scala industriale, con la divisione internazionale del lavoro criminale tra le mafie di vari paesi: il reclutamento delle donne affidato a mafie russe, bulgare e rumene, il trasporto verso l’Occidente gestito da clan dei Balcani, mentre le mafie che controllano il territorio italiano raggiungono accordi economici e di scambio con i cartelli dell’Est.
La ‘ndrangheta calabrese, ad esempio, si è specializzata nell’offrire alle mafie straniere il riciclaggio dei proventi del mercato della prostituzione. Così, la criminalità comune che prima gestiva la prostituzione in sede locale con metodi artigianali è stata spodestata dalle potenti mafie internazionali ed asservita come manodopera criminale. Il fenomeno dimostra come anche il mercato illegale sia dominato dalla stessa dura selezione darwiniana che caratterizza oggi la competizione nel mercato legale: anche lì, infatti, nei settori più redditizi, il mercato è dominato da oligopoli economici sempre più potenti che hanno fagocitato e incorporato le imprese più piccole. Una selezione evolutiva, che impone la criminalità organizzata sulla scena mondiale del terzo millennio. Con tanti saluti al vecchio diritto penale, che ormai «sembra destinato a divenire un diritto della premodernità, riservato solo alle forme tradizionali del crimine».
Molto più complessi, poi, gli intrecci tra mafie e imprese legali: rapporti di scambio, ma non solo. C’è anche «la nascita di un capitalismo misto, nato dalla fusione di capitali legali e illegali, che sta divenendo una significativa componente strutturale del capitalismo mondiale». Capitalismo criminale: settore nel quale l’Italia è tristemente all’avanguardia. Fino a pochi anni fa, era diffusa l’errata opinione che il mondo delle imprese fosse vittima della mafia, capace di imporre con l’intimidazione il pagamento di tangenti, l’assunzione di manodopera e la concessione di subappalti. Tutto falso, come risulta dalle rivelazioni di centinaia di ex mafiosi: accanto alla categoria delle vittime, esiste una moltitudine di imprenditori che ha utilizzato il metodo mafioso per conquistare posizioni di dominio nel mercato.
«Settori di vertice del mondo imprenditoriale» hanno utilizzato le loro doppie relazioni con politica e mafia per acquisire il controllo del mercato legale secondo logiche oligopolistiche, formando cartelli di imprese per gestire l’intera filiera produttiva. «La direzione dei cartelli è assunta da imprenditori che svolgono una funzione di cerniera con il mondo politico e quello mafioso, dettando le regole di ingresso, stabilendo i prezzi, imponendo le condizioni alla manodopera, indicando i fornitori». La brutta notizia è che «la maggioranza degli imprenditori ha accettato tali sistemi», per vari motivi. Primo, l’enorme vantaggio offerto a chi aderisce al cartello: l’azienda entra a far parte di un sistema protezionistico che elimina i costi e i rischi della concorrenza.
Naturalmente, c’è chi dice no. E si espone ad una doppia ritorsione: politica e mafiosa. Le aziende che si ribellano ai cartelli vengono private della possibilità di ottenere finanziamenti pubblici, statali o europei, tutti gestiti da politici. Altri ostacoli dalle burocrazie: autorizzazioni negate e pagamenti ritardati fino al fallimento dell’impresa. E’ il caso di Pino Masciari, l’imprenditore calabrese che si è ribellato alla ‘ndrangheta. Ha subito lo strangolamento della sua azienda, dopo aver “assaggiato” anche i metodi classici della ritorsione mafiosa: attentati incendiari e fucilate. Risultato: «Il mix di intimidazione politico-mafiosa ha assicurato a pochi imprenditori posizioni di dominio», dice Scarpinato, esaminando la drammatica situazione italiana.
I cartelli vengono definiti “Sistemi criminali” perché sono network illegali complessi, composti da politici, imprenditori, professionisti e mafiosi tradizionali. Mondi che comunicano tra loro mediante uomini-cerniera. I politici gestiscono il flusso della spesa pubblica e le autorizzazioni amministrative, mentre gli imprenditori regolano l’accesso al mercato e i mafiosi riciclano capitali illegali, partecipano agli affari e mettono a disposizione la forza materiale per eliminare fisicamente chi resiste alle pressioni. I “Sistemi criminali” sono ormai «potenti macchine sociali, in grado di condizionare interi comparti della vita pubblica e di controllare ampi settori del mercato».
Se agli inizi degli anni ’90 campavano di edilizia e appalti pubblici, ora si sono evoluti: energie alternative, grande distribuzione, sanità privata, rifiuti. Vent’anni fa il sistema dominava il 90% delle gare pubbliche: appalti aggiudicati con ribassi minimi, e poi grandi guadagni ottenuti barando, promuovendo rialzi dei prezzi in corso d’opera e impiegando materiali scadenti. Politici, professionisti, imprenditori e mafiosi si dividevano la torta dei grandi cantieri. Poi è arrivata la mannaia di Maastricht con la stretta sulla spesa pubblica, seguita da leggi antimafia sempre più restrittive. Così, agli inizi del terzo millennio, mentre l’azione del legislatore e del giudice iniziava a concentrarsi su quel settore, il capitalismo mafioso aveva già preso altre strade, investendo nei nuovi rami dell’economia dematerializzata e finanziarizzata. Ospedali, spazzatura, supermercati. E niente più sparatorie: solo business, sempre più invisibile.
Uno dei settori strategici è quello delle energie rinnovabili, che in Sicilia è controllato da pochissimi imprenditori, al riparo di una moltitudine di società. Nel 2010 è stato sequestrato un patrimonio da un miliardo e mezzo di euro a un oligopolista che, secondo l’accusa, agisce come uomo di collegamento tra mafie e lobby finanziarie internazionali che gestiscono, oltre che capitali legali, anche investimenti della mafia italiana, di gruppi Yakuza giapponesi e della mafia russa nel settore energetico. L’imprenditore era già stato condannato nel 1995 per aver pagato tangenti da 3 miliardi di lire a burocrati e assessori regionali per un business fotovoltaico del valore di 30 miliardi.
I “Sistemi criminali” rivelano una progressiva, pericolosa compenetrazione sul terreno degli affari tra politici corrotti e colletti bianchi di ultima generazione, mafiosi altamente scolarizzati. La nuova formula vincente? La combinazione tra abusi: quello del potere pubblico e quello privato, imprenditoriale e mafioso. Negli ultimi vent’anni, in Italia il fenomeno si è continuamente aggravato: «Si è creata un’amplissima zona di opacità nel settore pubblico che offre ampia copertura ad una vertiginosa crescita dell’illegalità». La Corte dei Conti ha stimato che il fatturato annuo della corruzione in Italia ha raggiunto la cifra, spaventosa, di 60 miliardi di euro. Se alla mafia tradizione restano estorsioni, edilizia e droga, i nuovi dominus sono proprio i colletti bianchi: che reclutano manager dall’aspetto rassicurante e, nel Nord Italia, fanno affari d’oro con le aziende del capitalismo legale.
Un piccolo esempio: lo smaltimento dei rifiuti industriali. Ricorrendo al “Sistema criminale”, le imprese dimezzano i costi. E’ la tragica storia di “Gomorra”, con la Campania inquinata da discariche abusive. Piene di veleni chimici, scorie letali. Ma anche materiali edili ad alto rischio, continuamente trafugati. C’è un palazzo da abbattere per far posto a un grattacielo? Problema: dove far sparire le tonnellate di amianto del vecchio edificio. Ci pensa l’impresa mafiosa, naturalmente: che offre uno “sconto” del 50% smaltendo in modo illegale il carico pericoloso. Si lavora in team, e si coinvolgono imprese legali: alle quali le aziende mafiose fatturano lavori inesistenti, permettendo loro di evadere il fisco. Grandi profitti: fondi neri da investire poi in corruzione, in Italia e all’estero.
Vale oltre 2 miliardi di euro la frode fiscale scoperta nel 2010, compiuta da manager di multinazionali delle telecomunicazioni quotate in borsa e imprenditori collegati alla ‘ndrangheta. In parte quei soldi erano finiti alla mafia calabrese, «che aveva falsificato migliaia di schede elettorali facendo eleggere in Parlamento un senatore addetto a curare gli interessi dell’organizzazione a livello statale». Del network facevano parte anche esponenti delle forze di polizia, «incaricati di fornire notizie riservate e di intralciare le indagini». Ma non è tutto. Tra gli altri servizi offerti dalla mafia alle imprese, c’è anche la riduzione del costo della manodopera: al personale viene infatti imposto di restituire fino al 30% dello stipendio. E’ la quota che una grande impresa a capitale misto, legale e mafioso, ha preteso per anni dai sui 1.500 dipendenti, accumulando così milioni di euro trasferiti all’estero.
Ci sono business criminali come quello del calcestruzzo “depotenziato”, cioè privo della necessaria quantità di cemento, impiegato anche in opere pubbliche: un processo del 2010 ha incastrato il manager di una holding internazionale quotata in borsa, che per meglio gestire l’affare aveva addirittura inquadrato mafiosi nei propri ranghi dirigenziali. La mafia “conviene”: offre anche capitali freschi, senza oneri bancari. Oro, in momenti di crisi come questo. Così si spiega anche il grande silenzio che copre l’espansione della ‘ndrangheta al Nord: le imprese sane «preferiscono subire in silenzio ovvero entrare in affari con gli indagati e non denunciare», affermano i giudici di Milano a marzo 2011 arrestando 35 esponenti lombardi della ‘ndrangheta, la vetta dell’iceberg di un “Sistema criminale” che ha raggiunto «un preoccupante livello di accettazione sociale».
«Un imprenditore che per vari anni ha operato in Lombardia – racconta Scarpinato – mi ha riferito che il silenzio di molte imprese non colluse con la mafia deriva anche dalla consapevolezza di non essere in regola con la legge sotto vari profili: evasione fiscale, mancato rispetto delle norme sindacali, violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro». Sembrava un retaggio della Sicilia arcaica, invece l’omertà culturale sulla mafia si diffonde anche al Nord, dove l’opinione pubblica crede ancora che le violenze che a volte affiorano siano fatti isolati, in una società sana. E non manca chi teme che l’informazione rovini l’immagine del Nord, il marketing territoriale: in una recente inchiesta, i giornalisti di Rai Uno hanno stentato a trovare imprenditori settentrionali disposti a farsi intervistare. I media parlano malvolentieri di nuova mafia: preferiscono espressioni come P3 e P4, cricche, comitati d’affari.
«La corruzione è divenuta il brodo di coltura di ogni illegalità anche di tipo mafioso», visto che negli ultimi anni molte leggi hanno elevato il grado di impunità. Uso distorto del potere pubblico, prescrizione ridotta per i colletti bianchi, reati estinti prima della condanna, pene condonate anche per crimini gravi come lo scambio elettorale-mafioso. E ancora: con lo Scudo Fiscale, è stato consentito il rientro di capitali illegalmente esportati, molti dei quali mafiosi. «Infine – aggiunge Scarpinato – la candidatura al Parlamento e l’affidamento di importanti cariche di governo a personaggi già condannati o inquisiti per corruzione e per reati di mafia costituiscono un fatto gravemente diseducativo che certamente non agevola la crescita della cultura della legalità nella società civile».
«Se non si pone freno alla corruzione – avverte il magistrato – la guerra contro le mafie è perduta in partenza: e l’arresto di centinaia di esponenti della mafia militare nonché la confisca di ingenti patrimoni, potranno solo svolgere una funzione di contenimento». In Italia il fenomeno viene alla luce perché la Costituzione del 1948 garantisce l’indipendenza della magistratura, che collabora con una polizia altamente specializzata e dotata di strumenti strategici come le intercettazioni. Ma altrove, dove la magistratura è controllata dai governi, il sistema criminale si propaga in modo occulto. Un caso limite è la Russia: il nuovo capitalismo di Mosca è ritenuto mafioso al 60-70%. Fonti dello stesso governo russo sostengono che sono mafiose o esposte al rischio-mafia il 40% delle imprese private e il 60% di quelle statali.
Sotto l’influenza dei network criminali anche l’85% delle banche russe e il 70% delle attività commerciali. Inoltre, «la quasi totalità delle imprese commerciali nelle maggiori città è gestita direttamente o indirettamente da gruppi criminali». E con le ultime elezioni la situazione si è aggravata: molti mafiosi sono diventati assistenti parlamentari, pagando una tangente agli eletti. In Russia, i 450 deputati della Duma si servono di 15.000 collaboratori, alcuni dei quali sono stati uccisi in relazione a contrasti tra gruppi criminali locali. «La mafia russa siede ormai nel cuore della finanza internazionale – rivela Scarpinato – ed è divenuta una delle componenti strutturali del capitalismo globale, del nuovo potere privato in grado di condizionare l’ordine geo-economico e geopolitico internazionale».
Il pericolo è mondiale: la compenetrazione tra capitalismo legale e mafioso, con la crescita tumultuosa dei “Sistemi criminali”, è ormai una tragica realtà in molti paesi europei nati dal crollo dell’impero sovietico, nei quali la fusione tra esponenti delle nomenklature al potere e organizzazioni mafiose è talmente radicata che alcuni studiosi li definiscono “regimi criminocratici” e “Stati-mafia”. Situazioni analoghe si registrano in diversi paesi africani e dell’America latina. Nel cuore dell’Europa, infine, a farla da padrone è il riciclaggio di capitali mafiosi. L’Europa è diventata una gigantesca “lavanderia” di denaro illegale: un fenomeno in costante crescita, che fa temere una vera e propria colonizzazione occulta. L’intera economia potrebbe “scoprirsi” mafiosa.
Per l’Europa, l’invasione mafiosa del Nord Italia è un campanello d’allarme: il nuovo turbo-capitalismo mondiale insofferente alle leggi spalanca vaste praterie al business criminale. Per Scarpinato, serve un progressivo diritto penale comunitario contro la criminalità organizzata transazionale, un diritto europeo che preveda reati omogenei e strumenti penali adeguati, a partire dalla confisca dei beni. Sempre che le magistrature restino indipendenti: quella italiana è infatti costantemente sotto attacco, col tentativo di sottoporre i pm al potere politico e frenare le indagini limitando le intercettazioni. Prima di essere assassinati, Falcone e Borsellino subirono gravissimi attacchi dal mondo politico «perché con le loro indagini mettevano in pericolo gli interessi di “Sistemi criminali” operanti in varie parti del paese». E se l’Italia resta un tragico avamposto, nessuno può più pensare di essere al riparo dalla nuova, oscura superpotenza mondiale.
tratto da Libre