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Pubblichiamo di seguito l\’articolo di Romina Vinci pubblicato ieri su Oggi7, inserto settimanale di America Oggi.

Felicia Impastato voleva guardare in faccia i responsabili della morte di suo figlio Peppino, famoso per le accuse delle attività della mafia in Sicilia, che gli costarono la vita il 9 maggio 1978, ad appena 30 anni. Felicia ha continuato la sua battaglia nell’attivismo fino ai suoi ultimi giorni, il 7 dicembre 2004. Emanuela Loi, agente della scorta del magistrato Paolo Borsellino (con Giovanni Falcone nella foto), cadde nell’adempimento del suo dovere il 19 luglio 1992, vittima della strage di via d’Amelio, a Palermo. Claudia, sua sorella, porta dentro un grande rimorso: è stata lei a trasmettere ad Emanuela la passione per la divisa, era Claudia che sognava di diventare una poliziotta. Saveria Antiochia ha visto suo figlio cadere sotto i colpi della mafia all’età di 23 anni, ma ha deciso di coltivare l’eredità più preziosa che il suo Roberto le aveva lasciato: tenere sempre viva la ricerca di verità e la speranza di giustizia. Margherita Asta aveva appena dieci anni quando sua madre e i suoi due fratellini rimasero vittime della strage di Pizzolungo, l’attentato dinamitardo con cui la mafia intendeva uccidere il sostituto procuratore Carlo Palermo. La famiglia Asta fu colpevole soltanto di esser capitata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Margherita, unica superstite insieme al suo papà, adesso ha 35 anni, ed è un’attivista antimafia in provincia di Trapani. Stefania Grasso è la figlia di Vincenzo Grasso, ucciso nel 1989 a Locri dalla ’ndrangheta, un commerciante che aveva sempre denunciato I tentative d’estorsione della malavita calabrese. L’indagine sulla sua morte venne archiviata senza trovare nessun responsabile. Stefania oggi vive e lavora a Locri, dove si dedica all’attività di ricostruzione delle storie dimenticate e sconosciute delle vittime innocenti della piaga criminale che attanaglia un intero paese. E poi Viviana Matrangola, che continua la lotta di un’altra donna determinata, sua mamma Renata Fonte, uccisa a Nardò, nel Salento. E ancora Annamaria Torre, figlia dell’ex sindaco di Pagani che venne trucidato dalla camorra perché aveva denunciato gli illeciti compiuti nel post-terremoto dell’Irpinia.

Storie di donne che con il loro coraggio sono riuscite a scardinare quel muro ancor più pericoloso della criminalità organizzata stessa: il silenzio degli innocenti. Storie di mogli, sorelle, figlie di vittime innocenti che hanno voluto dare un senso al proprio dolore trasformandolo in impegno condiviso: in testimonianza nelle scuole, nelle carceri minorili, nelle occasioni pubbliche, e nel sostegno ad altre famiglie colpite dallo stesso dolore. Sono state loro le protagoniste della conferenza “Donne dell’Antimafia”, che si è tenuta a Roma, il 9 giugno scorso, presso la Federazione Nazionale della Stampa Italiana.

Una giornata di riflessione e di esame sul lavoro e l’esperienza che da anni svolgono le donne a diverso titolo impegnate sul fronte dell’Antimafia: magistrate, operatrici delle forze dell’ordine, rappresentanti del mondo politico e dell’associazionismo, testimoni di giustizia, scrittrici e giornaliste.

“Sono passati i tempi in cui Buscetta diceva che ‘Cosa Nostra è cosa da uomini’, oggi le donne hanno un ruolo di fondamentale importanza nella malavita organizzata, sono affidabili nella gestione dei sequestri, utilizzate spesso come corrieri di eroina. Quanto contano le donne nelle estorsioni nel nostro presente? Tanto, gestiscono il racket”: queste le parole con cui Rita Mattei, presidente dell’Associazione Stampa Romana, ha introdotto i lavori.

Un concetto che è stato ribadito anche da Barbara Sergenti, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, già componente della Dda Napoli: “Le donne della mafia non hanno più solo una funzione secondaria, non sono più soltanto compagne, madri, figli e mogli che assistevano alla latitanza del famigliare, ma mostrano sempre più un atteggiamento emancipato. Donne che esercitano il potere e lo fanno in prima persona, stabilendo strategie di estrazione criminale”.

A seguire gli interventi di Gabriella Stramaccioni, Coordinatrice Nazionale Associazione “Libera”, Anna Maria Giorgione Imposimato, una dei primi magistrati donne della Corte dei Conti, e ancora Rita Di Giovacchino, che come cronista ha seguito le vicende della Banda della Magliana. Ha portato la sua esperienza anche Angela Napoli, membro della Commissione Parlamentare Antimafia, che ha posto i riflettori su come la corruzione possa rappresentare il viatico per la collusione con la criminalità organizzata.

Sono intervenute anche Francesca Monaldi, vicedirigente squadra mobile di Roma, le giornaliste Bianca Stancanelli, Alessia Marani e Maria Sole Galeazzi, e Lucia Brandi, in rappresentanza del Comitato domande per il Fondo di solidarietà vittime dell’estorsione e dell’usura, del Ministero dell’Interno.

Molto toccante infine le parole dell’ex testimone di giustizia Pino Masciari, imprenditore calabrese costretto a scappare dalla propria terra e a vivere dieci anni di solitudine: “Prima di essere un testimone di giustizia io ho scelto di rimanere un uomo libero, di non piegarmi”, ha voluto ribadire Pino a voce ferma.

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