Gli Amici di Pino Masciari esprimono la loro solidarietà ad Ignazio Cutrò sollecitando le Istituzioni ad essergli vicino, per trovare una soluzione quanto prima.
Ancora una volta riteniamo assurdo che siano costretti ad andarsene dalla propria terra coloro che denunciano e non i criminali che invece rimangono indisturbati sul territorio. Ricordiamo che anche Pino Masciari non lavora dal 1994, giorno in cui licenziò gli ultimi dipendenti della sua impresa, a seguito della sua denuncia per non cedere al ricatto mafioso.
Crediamo che sarebbe un segnale importante da parte delle Istituzioni garantire un lavoro a coloro che, mettendo a rischio la propria incolumità e quella dei famigliari, hanno scelto la via della legalità, a schiena dritta, senza mai piegarsi ai ricatti e alle ingiustizie. Lo Stato deve intervenire quanto prima in tal senso, soprattutto per incoraggiare altri imprenditori e commercianti a denunciare, il messaggio deve arrivare forte e chiaro: “Lo Stato è con voi ed è presente sul territorio”, solo così possiamo sperare in un risveglio delle coscienze.
Riportiamo di seguito l\’intervento di Ignazio Cutrò apparso ieri su Vanity Fair:
Chi le scrive è uno degli imprenditori che hanno denunciato il racket, dei quali avete parlato a marzo nel servizio “Testimoni della paura”. Mi chiamo Ignazio Cutrò, sono un imprenditore edile di Bivona (Agrigento). Nel 2006, dopo sette anni di attentati e minacce a me e alla mia famiglia da parte di mafiosi che pretendevano il pizzo, sono diventato testimone di giustizia. Ho fatto arrestare e condannare i miei estorsori, poi ho fondato un’associazione antiracket per convincere altri imprenditori a fare come me. La risposta dei clan non si è fatta attendere: in pochi mesi ho subìto 25 attentati. Per rimediare ai danni ho dovuto indebitarmi con le banche. Solo dopo che mi sono incatenato davanti al Viminale, mi è stato offerto di entrare nel programma di protezione per i testimoni di giustizia. Ho accettato, ma pur di non darla vinta ai mafiosi che mi vessavano ho chiesto di rimanere a casa. Ho rinunciato a una casa nuova in località protetta e all’aiuto economico che lo Stato dà ai testimoni di giustizia. Ho chiesto, invece, che mi mettessero nelle condizioni di poter lavorare. Questo perché sono convinto che non devo essere io ad andare via dalla Sicilia, non dobbiamo essere noi imprenditori onesti a lasciare le nostre case, le nostre aziende, la nostra terra, ma i mafiosi!
Sono passati cinque mesi. Le promesse fatte non sono state mantenute e mi ritrovo peggio di prima. Sono stato di nuovo abbandonato, in primo luogo dalle istituzioni, che con la loro burocrazia mi hanno impedito di riavviare la mia impresa. Dopo aver ottenuto, come prevede la legge per le vittime del racket, la temporanea sospensione prefettizia con la quale sono stati congelati i debiti contratti con le banche per rimediare ai danni causati dagli attentati, l’Inps mi ha fatto sapere che non riconosceva questa sospensiva e così non mi rilasciava i documenti indispensabili per riavviare l’azienda. Ho cercato lavoro ovunque, mi hanno sbattuto tutti la porta in faccia. Possibile che non esista uno straccio di lavoro qui in Sicilia per un imprenditore onesto che ha perso tutto per amore della giustizia? Nel frattempo, la sospensione prefettizia è scaduta e le banche adesso pretendono tutto e subito. E io come pago se non ho un lavoro? Mi sono rivolto a tutti i politici siciliani, non uno ha raccolto le mie richieste di aiuto. E quei due che hanno cercato di aiutarmi, Beppe Lumia e Sonia Alfano, sono stati accusati da una nota associazione antiracket di voler sfruttare il mio nome per farsi pubblicità… In tutto questo sono costretto ad assistere ogni giorno allo spettacolo dei carabinieri che debbono proteggere me e la mia famiglia e che, poverini loro ce la mettono tutta, ma non hanno i mezzi per farlo. Non hanno le macchine, non hanno finanche i lampeggianti… Mi chiedo che messaggio si vuole mandare alla gente? Il messaggio distorto che l’imprenditore che denuncia viene abbandonato? Se vogliamo che la gente si ribelli al racket, dobbiamo aiutare quei pochi che hanno il coraggio di opporsi ai mafiosi, non abbandonarli a sé stessi.
Valeria Grasso, l’altra testimone della quale avevate parlato, quella che possedeva una palestra a Palermo ed era vessata da persone vicine ai Madonia, è stata costretta a rifugiarsi in una località protetta. L’hanno portata via dalla famiglia, dalla sua casa, dalla sua palestra in meno di tre ore. Non voglio fare la sua fine, non voglio darla vinta alla mafia.
Tuttavia, non posso neanche continuare così. Non posso, per la mia voglia di giustizia, far soffrire la mia famiglia. Ho deciso che, se le cose non cambieranno entro pochi giorni andrò via dalla Sicilia, con la mia famiglia. Lasciare la mia terra sarà una sconfitta, ma qua ci sono tante cose che non vanno, non viviamo di sola aria. Purtroppo, sto capendo che l’antimafia, spero non tutta, è solo di facciata, ognuno si fa i propri interessi o fai parte del loro cerchio o sei morto. Non posso credere che in tutta la Sicilia dopo gli appelli lanciati da Lumia non c è posto dove io possa riscattare la mia dignità di padre di famiglia e riprendere a lavorare. Non credo che debba essere compito solo di Beppe Lumia e Sonia Alfano o di qualche altro politico, e sono pochi credetemi, quello di aiutare imprenditori come me. La cosa che mi fa male di più e che invece di aiutarmi anche con un supporto psicologico, una rappresentante di una associazione agrigentina si lamenta con chi mi sta aiutando con un telegramma, perché secondo lei c’è del ritorno politico. Se questa è la Sicilia che sta cambiando, allora accetto la sconfitta e vado via dalla mia amata terra. Concludo che dal momento che andrò via dalla Sicilia e attraverserò lo stretto di Messina, avrà perso l’Italia intera e non io.
Purtroppo il signor Cutrò ha ragione: sta perdendo l’Italia intera..di nuovo!
La mia solidarietà e ammirazione a Lei e alla Sua famiglia!
Bravi ragazzi! Solidarietà anche da parte mia!