Tredici condanne a complessivi 126 anni di reclusione. Le hanno richieste i pubblici ministeri Alessandra Cerreti e Roberto Di Palma a conclusione della requisitoria nel processo \”All inside\” che si sta celebrando davanti al gup Roberto Carrelli Palombi. Il processo nasce dall\’inchiesta della Dda che si era occupata della cosca Pesce di Rosarno. Alla sbarra ci sono gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato.
I pm, oltre alle condanne, hanno chiesto la confisca delle due squadre di calcio (Rosarno e Interpiana) che, secondo l\’accusa, erano controllate dalla cosca, un capannone industriale, un supermercato e alcune autovetture.
La condanna più dura, 20 anni di reclusione, è stata chiesta per il boss Vincenzo Pesce e il nipote, Francesco Pesce inteso \”Testuni\”, attualmente latitante. La formulazione delle richieste ha segnato la conclusione di una requisitoria-fiume che ha assorbito quattro udienze. Nella prima il pm Cerreti ha inquadrato la \”cosca Pesce\”. E l\’ha fatto ricordando, preliminarmente, che erano stati acquisiti gli atti di \”Crimine\” dai quali emerge che la \’ndrangheta rappresenta un\’organizzazione unitaria presente nei tre mandamenti della provincia (jonico, tirrenico e Reggio centro) con le articolazioni dei \”locali\” costituiti dalle varie \’ndrine. La Cerreti ha ricordato che cosca Pesce fa parte dell\’organizzazione della \’ndrangheta in posizione elitaria.
«L\’esistenza della cosca Pesce – ha sottolineato – è dimostrata dalle precedenti sentenze. In questo procedimento ci sono elementi probatori importanti: una marea di intercettazioni relative ai colloqui in carcere, intercettazioni telefoniche e le rivelazioni dei collaboratori di giustizia Salvatore Facchinetti, Rosa Ferraro, cugina della moglie di Salvatore Pesce e, ultima, Giuseppina Pesce». Il pm ha analizzato la presunta ritrattazione di Giuseppina Pesce sostenendo che allo stato non ha ritrattato: «Ci sono state le dichiarazioni rese il 2 aprile – ha spiegato la Cerreti –, seguite il 4 aprile dalla famosa lettera indirizzata al giudice. Ma l\’11 aprile, quando viene interrogata, si è avvalsa della facoltà di non rispondere».
Nella seconda udienza è stata esaminata la posizione del personaggio più importante: «Crimine dimostra che dietro Domenico Oppedisano – ha sostenuto l\’accusa – c\’è Vincenzo Pesce. Non a caso quando danno la carica di \”crimine\” a Oppedisano vanno in quattro a festeggiare con tanto di bottiglie nell\’agrumeto di Vincenzo Pesce». Esaminati anche i conflitti avuti da Vincenzo Pesce, all\’uscita dal carcere dopo aver scontato cinque anni, con il nipote Ciccio detto \”Testuni\”. Trattata, quindi, la posizione di Domenico Arena, cognato di Vincenzo Pesce, messo al controllo dei trasporti della catena di supermercati gestita dalla famiglia.
Si è parlato anche di Lucio Aliberti, il carabinieri accusato di aver favorito la cosca. Di Ciccio Pesce ha parlato Di Palma ricordando l\’ambientale dalla quale emerge l\’affiliazione dell\’imputato. Ieri la Cerreti ha trattato le posizioni dell\’agente di custodia Auddino (la procura ha dato parere contrario alla richiesta di patteggiamento con esclusione dell\’articolo 7), di Francesco Giovinazzo, genero di Giuseppe Pesce classe \’54 detto \”pecora\”, morto 13 settembre 2010 mentre era ai domiciliari. Infine Francesca Zungri intestataria di conti correnti e altri per conto di Francesco Pesce 1984 e della cognata di questi, Lidia Arena, intestataria fittizia delle autovetture dei Pesce.
Le richieste formulate dai pm:
tratto da Gazzetta del Sud