La sfida a camorra e calabresi alle origini della guerra di mala. Il procuratore Capaldo: \”In città si ridisegnano equilibri e poteri criminali\”. Sono 21 gli omicidi da inizio anno. Il giudice Lupacchini: \”Si ammazza con enorme facilità\”. Sempre più spesso si muore per strada sotto il piombo dei killer. Ma sono gli attentati incendiari di Ostia e la quantità di immobili confiscati alla malavita che danno la misura del fenomeno. Questa inchiesta è un viaggio alla scoperta della nuova mappa del crimine organizzato
Dici “MalaRoma” e pensi a qualche immagine seppia dei Settanta. Ai lenzuoli in terra intrisi di sangue fresco, a un’epica nera da romanzo popolata da sbirri in pantaloni a zampa d’elefante e brutte cravatte a fiori, da assassini con rayban a goccia. Poi, una mattina di fine luglio dell’anno 2011, capisci che il rumore di “petardo” che arriva dalla strada è una calibro 9. Che sullo “scooterone” che sgomma via, ci sono due killer, non due scippatori. E che sull’uomo afflosciato sulla portiera di una macchina che non è mai riuscito a mettere in moto, Flavio Simmi, 33 anni e un cognome “pesante”, hanno svuotato un caricatore intero.
Roma torna a parlare la lingua greve, assassina e passatista del “ferro”, degli “accavallati”. Si muore a Primavalle, e sempre a 30 anni, perché la vittima, un ex pugile pregiudicato, Simone Colaneri, non rispetta le regole del quartiere, perché è diventato un cavallo pazzo. Diciottesimo morto ammazzato dall’inizio di un anno cominciato male (il 19 gennaio l’esecuzione di Andrea Di Masi di fronte a una bisca del Prenestino) e proseguito peggio (L’8 aprile viene finito davanti al Teatro delle Vittorie Roberto Ceccarelli), ad una media di un cadavere ogni novanta giorni. Per giunta, mentre il litorale – Ostia – si incendia di fuochi dolosi che sanno forse anche loro di déjà-vu, ma in realtà raccontano solo la ferocia presente delle estorsioni. Bruciano i ristoranti “Villa Irma” e “Maria Pia”. Bruciano il “Chiosco Blanco” e lo stabilimento “Anema e core”. E se non fosse che ai numeri nessuno bada mai, anche loro, da tempo, avrebbero qualcosa da dire.
Al 31 dicembre del 2010 – documenta il “Rapporto statistico” dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata – gli immobili confiscati nel Lazio alle mafie locali e di importazione che lo infestano erano 399. E di questi, 193 in città. La Roma nera si è mangiata le imprese edili (è questo il business del 27 per cento delle 95 aziende confiscate), la ristorazione, la fascia alberghiera media. Nell’hinterland più prossimo alla cintura urbana (Monterotondo, Grottaferrata, Ardea, Marino, Sant’Oreste, Cerveteri, Velletri) sono stati sequestrati – è storia di due mesi fa – 175 tra appartamenti, box, cantine, terreni, per 250 milioni di euro. La ‘Ndrangheta ha cuore e portafoglio da anni nei municipi del centro storico e dei quadranti settentrionali della città. La Camorra dei Casalesi è padrona della periferia est di Roma e dell’Agro Pontino, dove Latina è diventata una delle più importanti piazze italiane per il traffico della cocaina.
La Capitale non ha un solo padrone. Non lo ha più dal giorno in cui il nucleo storico della “Banda della Magliana” cessò di esistere, per morte violenta e condanne giudiziarie degli uomini chiave del suo sinedrio. Ma la “pax” che per quindici anni ha tenuto insieme mafie tradizionali (‘Ndrangheta, Camorra, Cosa Nostra), violenti banditi di strada e capirione, si è sgretolata. In troppi mangiano in un piatto che si è fatto piccolo per gli appetiti che dovrebbe soddisfare. \”Uccidere – chiosa uno sbirro che in strada ci ha messo i capelli bianchi – non è più l’ultima delle risorse, ma la prima delle opzioni. E questo vuol dire che qualcosa di molto serio sta accadendo\”.
C’è un significativo pezzo di passato che ritorna, nomi antichi che frullano redivivi. Come quello dei padroni dell’usura Enrico Nicoletti e Sergio De Tomasi (istruttiva la lettura dell’ordinanza che lo ha riportato in carcere e che trovate in questa inchiesta). E c’è un presente nero che non ha ancora trovato un suo equilibrio. E’ una storia al suo incipit. Una storia di sangue. (articolo di Carlo Bonini tratto da La Repubblica Inchieste )
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