Sei anni di vita amministrativa. Con delibere, appalti, affidamenti d’opera a trattativa privata. La Prefettura non ha dubbi: l’attività delle giunte di Leini e Rivarolo, città della cintura torinese finite più o meno indirettamente nella maxi inchiesta sulla ‘ndrangheta, che due mesi fa ha portato in carcere 150 persone, deve essere passata al setaccio. Tutta. Per scoprire, se e quanto, politica e malaffare, siano andati a braccetto. E se la ‘ndrangheta abbia in qualche modo condizionato lavori e scelte dei Consigli comunali.
Ma, perché, proprio Rivarolo e proprio Leini? La risposta è nelle 2 mila e 500 pagine di ordinanza di custodia cautelare dell’operazione «Minotauro». È in quegli stralci di intercettazioni rese pubbliche dove si possono ascoltare personaggi finiti in manette parlare dei politici locali. Promettere sponsorizzazioni in vista delle elezioni, in cambio di denaro. Oppure di una speranza: «Se va su lui, facciamo ciò che vogliamo».
La Prefettura ha affidato il lavoro di verifica ad un pool di investigatori: Carabinieri e Guardia di Finanza, coordinati da un vice prefetto. E il gruppo s’è già messo al lavoro. È andato a bussare alle porte del Comune di Rivarolo chiedendo valanghe di documenti. Del resto non poteva essere altrimenti. La capitale dell’alto Canavese, con i suoi 13 mila abitanti, occupa un posto di rilievo nell’indagine. E tutto perché il segretario comunale, Antonino Battaglia è finito in manette per voto di scambio.
E il sindaco Fabrizio Bertot, che non è stato né indagato né interrogato, è stato intercettato mentre, in un bar di Torino, incontra i «capi» delle ‘ndrine locali e chiede voti per le elezioni Europee che lo vedono candidato nel centrodestra. Bertot adesso allarga le braccia. Dice. «Vengano a prendere tutte le carte che vogliono. Io non nascondo nulla. Le cose che ho fatto sono tutte alla luce del sole. Altro che infiltrazioni ‘ndranghetiste. Io sono stato intercettato con gente che neanche sapevo chi fosse. Erano potenziali elettori. Non ho promesso nulla. Ho chiesto un aiuto. Come fanno tutti i candidati con decine se non centinaia di gruppi e associazioni».
Leini, invece, ha una storia a sé. L’ex sindaco Nevio Coral è in carcere per concorso in associazione mafiosa. Due mesi dietro le sbarre, decine di pagine di intercettazioni, qualche amicizia «pericolosa». Lui, industriale con il pallino della politica, non ha detto una sola parola su questa vicenda. Tranne che: «Non ho fatto nulla di male. Prima o poi lo capiranno». Ma la procura parla apertamente di «sistema Coral» nei documenti dell’arresto. Cita personaggi anch’essi ormai in carcere, gente che ha contatti con famiglie che contano. Ed è inevitabile che ora la Prefettura, su input dello steso ministro dell’Interno, voglia vederci più chiaro. Voglia capire se a Leini e Rivarolo – ma presto, forse, anche in altre amministrazioni della cintura – la ’ndrangheta era più forte di quanto può sembrare. Un lavoro delicato quello del pool investigativo e che potrebbe portare ad un vero e proprio terremoto politico nelle due amministrazioni.
«Sono tranquillo, non ho nulla da nascondere. Da parte nostra ci sarà la massima collaborazione», dice Ivano Coral, sindaco di Leini e figlio di Nevio. Nella città della prima cintura torinese, dopo l’arresto di Coral, i cittadini avevano dato corso ad una serie di manifestazioni spontanea, erano scesi in piazza armati di cartelli. Chiedevano le dimissioni della giunta. Sindaco e assessori sono rimasti al loro posto. «Non abbiamo nulla da temere», ribattono. La Commissione d’inchiesta avrà tempo 90 giorni per chiudere questa operazione. A Leini e Rivarolo respingono lo spettro del Commissariamento: un’ipotesi alla quale in pochi credono. Tutto, però, dipenderà dall’esito di questa inchiesta.
tratto da La Stampa