In Germania è uscito un libro nel quale il giornalista di ‘Der Spiegel’ Andrea Ulrich, nella prefazione, attacca il movimento antimafia e sostiene che “la mafia deve essere raccontata dai boss e non dai magistrati o dalle vittime”. Il libro è stato scritto da Francesco Sbano e si chiama ‘Giuliano Belfiore. Die Ehre des Schweigens. Ein Mafiaboss pack aus’ editore Heyne (Giuliano Belfiore. L’onore del silenzio. Un boss della mafia parla). Lo rende noto la ricercatrice e studiosa calabrese, Francesca Viscone.
Francesco Sbano, fotografo di Paola residente ad Amburgo, artefice del successo tedesco delle canzoni di ’ndrangheta, era stato definito già due anni fa dal settimanale Der Spiegel «persona che gode della fiducia di alcuni mafiosi». Il magazine si vantava di averlo tra i suoi collaboratori, perché aveva reso possibile l’intervista ad un boss e, sempre grazie a lui, due giornalisti tedeschi avevano potuto assistere ad un rito di affiliazione. L’ultima opera di Sbano è dedicata a Giuliano Belfiore. Die Ehre des Schweigens (Giuliano Belfiore. L’onore del silenzio, Heyne editore), titolo che viene però subito smentito dal sottotitolo Ein Mafiaboss packt aus (Un boss della mafia parla). Belfiore, nome falso dietro cui si nasconderebbe un pericoloso boss della ’ndrangheta, ha 20 anni quando nel 1980, lascia la Germania. Torna nella sua terra, con il desiderio di entrare nell’Onorata società. Non avendo paura di niente ed essendo ambizioso, scala velocemente tutti i gradini della gerarchia. Oggi ha cinquant’anni, è uno dei boss più potenti in Calabria e sta per cedere a suo figlio i suoi affari. Racconta a Sbano la sua vita, a condizione che non riveli a nessuno chi sia realmente.
Sbano costruisce l’autobiografia di un boss, ma con le regole delle fiabe: assenza di tempo, spazio e identità dei personaggi; abbondanza di riti e miti. Puro folclore mafioso. Impossibile a chiunque verificare le dichiarazioni di Belfiore, e persino la sua esistenza. Nella prefazione l’autore pone una domanda retorica: chi, vedendo un qualsiasi film sulla mafia non ha tentato di immedesimarsi nel ruolo del Padrino? «Siamo onesti. Tutti noi, anche solo per un attimo, abbiamo sognato di trovarci nel ruolo del potente boss della mafia». La ragione profonda per cui Sbano ha scritto questo libro ce la rivela poco dopo: alla luce di nuove fonti di informazione, vuole stimolare il dibattito sulla ’ndrangheta per evidenziare l’inaccettabile condizione economica in cui si trova la Calabria. Ai tedeschi non dice, naturalmente, che le mafie hanno dissanguato l’economia del Sud. Si difende dall’accusa di essere mafioso, ma afferma: «Oggettivamente sono l’unico che, grazie a decenni di ricerche, si è guadagnato la fiducia della mafia e pertanto è in grado, insieme a giornalisti prescelti, di fare ricerca su quei settori criminali che fin’ora erano considerati impenetrabili». E dichiara di essere più sperto pure di Saviano. Che magari gode solo della fiducia della sua scorta. Per Sbano lo Stato italiano è colpevole di tutto: soprattutto delle condizioni di vita nel Sud. Si dice convinto che le finanze meridionali sarebbero risanate, se la ’ndrangheta potesse investire legalmente i suoi miliardi: «Tutti i mafiosi di alto rango con cui ho parlato, mi hanno assicurato che la legalizzazione della mafia e la fine dell’economia sommersa determinerebbero un miracolo economico in Calabria. Naturalmente la mafia dovrebbe interrompere l’uso di antichi metodi barbari», dice Sbano in un’intervista modello apparsa su «Corazon-International» e realizzata dal giornalista “prescelto” Max Dax, coproduttore del primo cd di canzoni di ’ndrangheta.
Andreas Ulrich, anche lui “prescelto” giornalista di «Der Spiegel», scrive una prefazione degna dell’opera. Non si preoccupa di prendere le distanze dalle dichiarazioni del boss, di spiegare agli ignari lettori che i mafiosi parlano solo per costruire giustificazioni intorno al loro agire, per sviare le indagini, per dare al loro delirio di onnipotenza sfondo etnico e valore culturale, oppure per fare proseliti. Non dice per esempio che i magistrati hanno il vizio di verificare le dichiarazioni dei pentiti, di cercare prove e controprove, e che nemmeno i pentiti sempre risultano credibili, figuriamoci poi i testimoni anonimi.
Il giornalista di «Der Spiegel» sferra una serie di attacchi frontali contro lo Stato italiano, contro il movimento antimafia, contro i suoi colleghi giornalisti. Ma elogia, a modo suo, la Chiesa, descrivendola come vicina ai mafiosi, che sarebbero cattolici, mariti fedeli, devoti a Padre Pio, abituali frequentatori di Polsi, benedetti e sempre ben accolti dal parroco di Polsi, don Pino Strangio, un uomo stimato, dice Ulrich, che avrebbe pronunciato le seguenti parole: «I critici rimproverano alla Chiesa di non prendere le distanze dalla mafia. Non hanno capito. La Chiesa cattolica ha un impegno con Dio, non con lo Stato italiano». Attendiamo smentite. Scrivere contro la mafia è facile, spiega, si fa carriera, si diventa eroi e tutti sono d’accordo perché è come scrivere contro la fame nel mondo, contro la distruzione della foresta pluviale. Si guarda bene dall’informare sui giornalisti uccisi e minacciati in Italia. Ma anche dal ricordare che in Germania i libri di Petra Reski, Jürgen Roth e Francesco Forgione sono stati censurati. Invece li accusa di non avere mai visto un solo mafioso in vita loro, e di ricevere informazioni sulla mafia dai media (!), dalle relazioni del parlamento e dai magistrati. Si fa insomma fautore di un nuovo modo di intendere il giornalismo: la parola non va data alle vittime, né agli inquirenti, ma solo ai carnefici.
Violento è poi l’attacco contro il movimento antimafia, definito Wanderzirkus, circo ambulante. Mette inoltre sullo stesso piano mafia e antimafia: entrambe creano identità, entrambe danno ai loro membri la possibilità di diventare importanti. Non si riferisce, dice, a chi cerca di combattere “il cancro del Mezzogiorno” rischiando la vita, i poliziotti e i magistrati, ma a tutta una serie di «giornalisti, fotografi, autori e attivisti d’altro genere che cavalcando l’onda della lotta dell’antimafia vogliono diventare famosi». La storia della mafia deve essere raccontata solo dai mafiosi, dice Ulrich, gli unici credibili. Parola d’onore.
Sbano e Ulrich questa volta si sono spinti un po’ troppo lontano. Attivisti del movimento antimafia di Berlino si erano recati alla presentazione del libro di Gianluigi Nuzzi, Metastasi, a cui avrebbe dovuto partecipare anche Ulrich, insieme a Gratteri. Ma Ulrich, appena un giorno dopo l’uscita del libro di Sbano, era stato invitato a rimanere a casa. Si preparano altre azioni di protesta. Anche Sonia Alfano si è detta indignata. Francesco Forgione sarà presente con l’edizione economica di Mafia Export al Festival della letteratura di Amburgo, due giorni prima di Sbano. A chi crederanno i tedeschi? A Forgione, il cui libro è stato censurato e ritirato dal mercato tedesco, che vive sotto scorta ed è stato presidente della Commisione antimafia, o all’amico del signor Belfiore?
tratto da Il Quotidiano di Calabria (articolo di Francesca Viscone)
Sono sbalordita e disgustata!