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Le cosche di ’ndrangheta si sono radicate in Lombardia: un’inchiesta delle forze dell’ordine, durata quattro anni, e che ha impiegato oltre 3.000 uomini a colpito al cuore il sistema malavitoso. O almeno ci ha provato. In attesa delle sentenze, ecco le tappe di un’operazione contro un potere criminale che non nega più nessuno.

È il 13 luglio 2010 quando l’Italia intera (ri)scopre quel segreto di Pulcinella tanto indigesto che è la mafia al nord. Più precisamente, la ’ndrangheta calabrese. Quella mattina, con l’impiego di 3.000 uomini delle Forze dell’Ordine, scivola sull’asse Reggio Calabria-Milano la maxi operazione “Crimine-Infinito\”, che porta all’arresto di 300 presunti affiliati alla ’ndrangheta. Più di metà delle misure cautelari sono eseguite in Lombardia, soprattutto nell’hinterland milanese. Le operazioni sono coordinate dalle Direzioni Distrettuali Antimafia di Reggio Calabria, per l’inchiesta ‘Il Crimine’, mentre la DDA di Milano coordina le operazioni per il troncone denominato “Infinito”.

Le indagini individuano 15 locali (nuclei strutturati) di ’ndrangheta nella sola Lombardia che si affidano a 500 affiliati. Nel corso dell’operazione saranno sequestrati beni per 60 milioni di euro, armi e quantitativi di droga. Saranno portate a termine 55 perquisizioni. Una realtà fatta di “doti”, “cariche”, imprese strozzate, usura, intimidazioni, minacce e affiliazioni. Tutto a casa di chi, per anni, si è sentito cantilenare da sindaci, amministratori e politici che recitavano lo slogan fasullo che “la mafia a Milano non esiste”.

L’inchiesta coinvolge anche politici ed esponenti della pubblica amministrazione. Alcuni solo sfiorati, come il leghista Angelo Ciocca, pizzicato in compagnia del presunto boss Giuseppe Neri di Pavia. Altri arrestati e poi imputati come l’ex assessore provinciale in giunta Penati Antonio Oliverio, o l’ex direttore dell’Asl di Pavia (una della più ricche d’Italia, con un budget da quasi 800 milioni di euro l’anno), Carlo Chiriaco, oggi ancora in carcere. Da questa indagine emerge in modo preoccupante e con forza proprio la cosiddetta “zona grigia”, fatta di politici, consulenti, assessori, imprenditori, amministratori e anche appartenenti alle stesse Forze dell’Ordine.

Una scossa che dura qualche settimana, risollevata dalla polemica strumentale (da ambo le parti) tra il ministro dell’Interno leghista Roberto Maroni e lo scrittore Roberto Saviano, dopo la puntata di “Vieni via con me”, in cui lo scrittore napoletano illustra l’operazione, dimenticandosi che la mafia al nord non «interloquisce solo con la Lega», ma va un po’ con tutti.

Dopo l’effetto mediatico, l’interesse per la vicenda ritorna sotto terra. Che fine hanno fatto gli arresti? Ci sono processi in corso? Cosa ci fanno le mafie in Lombardia? Ecco le risposte.

LE INDAGINI

Sono indagini lunghe e complesse quelle che caratterizzano il risultato dell’operazione che ha portato in manette 174 presunti affiliati alla ’ndrangheta in Lombardia, tant’è che, come ricorda il Gip Andrea Ghinetti, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare, «il procedimento è stato iscritto fin dall’ottobre 2006».

In quattro anni di indagini, gli inquirenti sono stati in grado di stilare un vero e proprio censimento delle locali di ’ndrangheta in Lombardia, diretta emanazione delle cosche calabresi in regione. Le locali individuate sono quindici: Milano, Cormano, Bollate, Bresso, Corsico, Legnano, Limbiate, Solaro, Pioltello, Rho, Pavia, Canzo, Mariano Comense, Erba, Desio e Seregno.

Come si chiama la struttura intermedia tra Reggio Calabria e le locali? Semplice, “Lombardia”. Ma i rapporti tra la casa madre e il distaccamento lombardo non hanno sempre vissuto momenti felici. Al contrario, le indagini fotografano la situazione nel momento forse più burrascoso: Carmelo Novella, capo della “Lombardia”, esponente di spicco della cosca di Guardavalle, dopo aver scontato due anni di carcere, non solo riprende il suo posto, ma ha in mente un progetto scissionista per rendere autonoma la struttura lombarda della ’ndrangheta. Da Reggio Calabria non gradiscono e Novella viene freddato su ordine del capo-crimine don Mico Oppedisano, in un bar a San Vittore Olona, provincia di Varese.

Da quel momento in poi occorre riorganizzare la “Lombardia” e dare un volto nuovo al referente. Per farlo, tutti i più importanti esponenti della ’ndrangheta lombarda si ritrovano al circolo – ironia della sorte – “Falcone e Borsellino” di Paderno Dugnano. Nessuno di loro sa che il nucleo investigativo dei carabinieri di Monza è sulle loro tracce, e la riunione, in cui Pasquale Zappia viene nominato nuovo capo della Lombardia con tanto di votazione all’unanimità, diventa immagine nota.

IL PROCESSO

Estorsioni, usura, fatti di sangue, traffico di stupefacenti, detenzione di armi e mani su alcuni appalti di Expo 2015. È questa la ’ndrangheta in trasferta al nord, che i magistrati portano alla sbarra, non senza difficoltà e ovviamente non al completo. Il 15 dicembre del 2010 durante una conferenza stampa congiunta il pubblico ministero Ilda Boccassini annuncia la possibilità di andare a un maxi-processo. I pm hanno chiesto il giudizio immediato per tutti i 174 arrestati. Nella stessa conferenza stampa il pm Boccassini denuncia «Il problema a Milano, però è che le vittime di estorsione e usura continuano a non denunciare», nonostante «il fenomeno estorsivo e usurario continui».

Il procedimento si divide però in due tronconi. In 119 scelgono di seguire la strada del procedimento abbreviato, che prevede lo sconto di un terzo della pena. Tutti gli altri imputati andranno a dibattimento nel corso del rito immediato.

La prima udienza del maxi-processo si è tenuta l’11 maggio scorso e in abbreviato si è arrivati alla formulazione delle richieste di condanna. Il pubblico ministero Alessandra Dolci ha chiesto in tutto quasi mille anni di carcere per 118 imputati e l’assoluzione dell’ex assessore provinciale Oliverio. La sentenza, per quanto riguarda il rito abbreviato, è attesa per quest’autunno.

Nel rito ordinario il 23 settembre scorso è iniziata l’audizione dei testi dell’accusa con il Colonnello Roberto Fabiani, comandante del nucleo investigativo dei Carabinieri di Monza. Audizione che proseguirà nel corso della prossima udienza il 29 settembre prossimo nell’aula bunker di Piazza Filangieri a Milano. Da ottobre a dicembre sono fissate poco più di venti udienze. Intanto in Comune a Milano la mafia non si nega più e si discute di una commissione comunale antimafia. Ma, anche qui, le frizioni sono assicurate e sono già iniziate.

articolo di Luca Rinaldi (tratto da Linkiesta.it)

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