Pubblichiamo di seguito le foto e l\’articolo, scritto da Paolo Colzani per il quotidiano Il Cittadino, in seguito all\’incontro che si è tenuto il 29 settembre a Seregno (MB) organizzato dal Circolo Culturale San Giuseppe di Seregno.
«Mio padre mi ha insegnato ad avere la schiena dritta. Mi sarebbe piaciuto continuare il suo lavoro di imprenditore edile, ma della scelta di legalità che ho fatto non mi pento». Pino Masciari ha sintetizzato così giovedì, nella sala civica monsignor Gandini, la sua esperienza di vita, caratterizzata dal no al giogo della ’ndrangheta, che lo ha costretto ad interrompere la sua carriera professionale proprio quando era all’apice, sia nella sua Calabria che in Italia ed in Europa, e a sopportare una serie di peripezie successive incredibili, che lo status di testimone di giustizia riconosciutogli dallo Stato paradossalmente non ha mitigato.
Anzi. L’occasione dell’incontro, promosso dal Circolo culturale San Giuseppe, è stata la presentazione del suo libro «Organizzare il coraggio», scritto con la moglie Marisa, madre dei suoi due figli adolescenti. «Mi sono opposto alla richiesta di ”regolarizzazione” che mi era arrivata dagli ’ndranghetisti – ha spiegato Masciari – che avrebbe comportato il versamento del 3 per cento dell’importo di tutti gli appalti che mi sarei aggiudicato da lì in avanti. Il diniego ha originato un crescendo di minacce e atti intimidatori, con tanto di attentato nei confronti dei uno dei miei fratelli. Nel 1994, a soli trentaquattro anni, ho detto basta e mi sono fermato, licenziando i novantaquattro dipendenti ancora in organico. Contavo che la politica e la pubblica amministrazione si sarebbero mossi in mio aiuto. Invece…».
L’amarezza si è quindi impadronita della scena: «Quando ho cominciato a denunciare, mi sono trovato di fronte ad uno Stato assente. Anziché ascoltarmi, chi di dovere mi consigliava di lasciar perdere, con la scusa di salvaguardare la mia incolumità. C’è voluto del tempo per trovare interlocutori validi. Finché, il 17 ottobre 1997 sono stato sradicato insieme alla mia famiglia dalla mia terra e scaraventato altrove. Da allora siamo stati spostati periodicamente come pacchi e trattati peggio dei criminali, sebbene il testimone di giustizia sia una persona che non ha commesso delitti, al contrario del collaboratore di giustizia». Il senso di solitudine si è acuito quando lo Stato ha sospeso il programma di protezione, prima che i processi iniziati grazie alle sue testimonianze fossero terminati: «Ma ho fatto ricorso al Tar del Lazio, che alla lunga mi ha dato ragione. Ed ho trovato amici che mi hanno spinto a raccontarmi. Ecco perché sono qui».
Da notare infine il rilievo polemico dell’ex consigliere comunale di Rifondazione comunista Francesco Mandarano nei confronti degli amministratori e dei consiglieri comunali, che ad eccezione di Giusy Minotti della Federazione della sinistra e Giampaolo Zannin dell’Italia dei valori, benché invitati, hanno disertato la serata.