Quando si conosce un testimone di giustizia è come se si conoscessero tutti gli altri ottanta presenti in Italia. Li accomuna è il fatto di essere persone oneste che subiscono una dura punizione da parte della malavita, da parte dello Stato e da parte della società sempre pronta a giudicare restando abbarbicata sui troni individualistici.
È ai testimoni di giustizia che la Fondazione Caporale, presieduta da Fulvio Scarpino, ha dedicato, a distanza di due anni dalla prima esperienza, una seconda giornata che, seppur corposa nella sua modulazione, è finita troppo in fretta perché specie da parte dei giovani presenti era tanta la voglia di ascoltare, di conoscere e sentirsi amici vicini a persone coraggiose ma profondamente segnate. E le testimonianze di chi non ha avuto paura di avere paura, sono state forti ed emozionanti. A partire da Alfio Cariati, ex imprenditore automobilistico di Cosenza ridotto sul lastrico dalla \’ndrangheta e sul cui caso il giornalista Saverio Paletta ha scritto il libro \”Sotto racket\”. E ancora Pino Masciari, l\’imprenditore calabrese esiliato di fatto dal 17 ottobre 1997 insieme alla sua famiglia e poi Pina Buonocore, sorella di Teresa, assassinata con quattro colpi di pistola da due sicari della camorra il 21 settembre dello scorso anno, perché aveva convinto la sua bambina di appena 8 anni a denunciare il suo \”mostro\”. I tre testimoni di giustizia sono stati intervistati dal capo redattore del Tg 2 Enzo Romeo.
Ad introdurre il convegno è stato il presidente della Fondazione Caporale nonché assessore comunale alle Politiche sociali Fulvio Scarpino, a cui è seguito il saluto di Giuseppe Mirarchi dell\’Ufficio scolastico regionale, del direttore della Caritas don Dino Piraino, del presidente della Provincia Wanda Ferro, dell\’assessore regionale alla Cultura Mario Caligiuri che ha sponsorizzato l\’iniziativa e del presidente di Calabria Etica, Pasqualino Ruperto. «Un buon imprenditore che sa fare bene i suoi conti – ha detto con rammarico Alfio Cariati – mette in ammortamento il pizzo che deve pagare e continua a lavorare. Io ho perso lavoro, famiglia, amici e sono stato lasciato solo dallo Stato. A cosa è servito il mio coraggio?». Secondo il giornalista Paletta la legge sui testimoni di giustizia è «fatta con i piedi perché definisce il testimone ma non il collaboratore di giustizia, nonostante tra i due ci sia una grossa differenza». Un forte messaggio è stato lanciato da Pina Buonocore, che emozionata ha detto: «Non vi vergognate di stare vicino a chi denuncia un reato, non siate complici, non nascondetevi. Abbiamo bisogno di collaborazione sociale per sconfiggere la malavita. Io ho perso mia sorella, i miei nipoti hanno perso la loro mamma ma il suo gesto ha fatto vincere la libertà, quella libertà che spesso si trasforma in un pesante fardello da portare avanti».
Vivere nei confini di un programma di protezione significa essere privati della libertà per te stesso e per i tuoi familiari. Lo sa bene Pino Masciari, imprenditore catanzarese da 17 anni in regime di protezione insieme alla sua famiglia. «L\’isolamento e l\’abbandono rendono complici – ha detto Masciari – l\’anonimato è la morte, mentre noi dobbiamo uscire alla scoperto e denunciare. Se in questa terra continuerà ad esserci la \’ndrangheta non ci sarà mai sviluppo, mai cambiamento».
La prima parte del convegno si è concluso con la proiezione del film \”Una siciliana ribelle\” di Marco Amenta, che tratta la vera storia di Rita Adria.
Fonte: Gazzetta del Sud