Fonte: Il Corriere della sera
S e un\’ indagine sulla \’ ndrangheta parte da Reggio Calabria, approda a Milano e poi torna sullo Stretto, vuol dire che davvero quel particolare tipo di criminalità mafiosa «non può essere vista e analizzata semplicemente come un insieme di consorterie, tra di loro scoordinate e scollegate, i cui componenti si incontrano una tantum per passare momenti conviviali di vario genere». Piuttosto, si tratta di una «organizzazione unitaria» con diverse «articolazioni territoriali» sparse per l\’ intera penisola, come scrivono i procuratori di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino, Roberto Di Palma e Giovanni Musarò che hanno lavorato in «coordinamento sinergico» con i colleghi milanesi. Il collegamento tra uffici giudiziari è la risposta a quello, altrettanto sinergico, messo in campo dalle \’ ndrine. Che per coltivare i propri affari utilizzano sempre più spesso figure esterne al tradizionale habitat \’ ndranghetista – almeno all\’ apparenza – e tuttavia si rivelano utilissime agli interessi mafiosi. «Nessun ambiente rimane estraneo a questa opera di contaminazione», accusa il giudice di Milano Giuseppe Gennari. È la famosa «zona grigia», solitamente sommersa, dove i boss s\’ incontrano o hanno contatti mediati con magistrati, politici, avvocati, medici, esponenti delle forze dell\’ ordine e di altre categorie professionali da cui succhiano favori, informazioni e prestazioni (debitamente ricambiate) che contribuiscono al rafforzamento dei clan. Ecco allora che dalle ultime indagini condotte sull\’ asse Milano-Reggio Calabria emerge la figura di un giudice in servizio presso una struttura giudiziaria strategica come la sezione per le misure di prevenzione nel capoluogo calabrese, ora in carcere con l\’ accusa di avere rapporti troppo ravvicinati con la cosca Lampada-Valle. Sua moglie avrebbe ottenuto un incarico pubblico grazie a un consigliere regionale calabrese del Pdl, a sua volta arrestato con l\’ accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Sotto inchiesta è finito pure un altro magistrato – che due anni fa annullò le catture di alcuni appartenenti alla cosca Bellocco di Rosarno, poi ripristinate dalla Cassazione, e recentemente promosso dal Csm nonostante l\’ unanime parere contrario del consiglio giudiziario locale – mentre un maresciallo della Guardia di finanza si trova agli arresti per corruzione. È una catena – secondo l\’ accusa – di presunti insospettabili piegati agli interessi del crimine organizzato, dove la \’ ndrangheta tiene insieme i diversi anelli. Uno dei quali sarebbe l\’ avvocato cinquantacinquenne Vincenzo Minasi, con studi a Palmi, Milano e Como. Da ieri è in prigione perché sospettato di essere un « consigliori della cosca Gallico, gestendone gli interessi economici e fornendo consulenze in materia finanziaria e intermediazione immobiliare». Per gli inquirenti era al soldo di uno dei principali gruppi mafiosi di Palmi, ma è stato sorpreso al telefono anche con un esponente della famiglia «lombarda» dei Lampada, Giulio, che con lui si vantava dell\’ onoreficenza vaticana appena ottenuta: «Ora in tutte le diocesi mi devono chiamare eccellenza». Segno che per gli uomini di \’ ndrangheta la forma e il rispetto contano anche al di fuori delle \’ ndrine di appartenenza. Nell\’ indagine reggina l\’ avvocato è dipinto come il regista dell\’ occultamento di beni e denari dei boss attraverso società di comodo, intestate a prestanome. Non solo in Italia, ma anche in Svizzera e negli Stati Uniti. Teresa Gallico è stata intercettata mentre ne parlava col fratello ergastolano Domenico, nella sala colloqui di un carcere: «Sono andata ieri, gliel\’ ho detto… a Minasi, \”avvocato… questa situazione è molto delicata, cosa si può fare?\”. \”Molto semplice\”, ha detto…\”venite a Lugano…\”». E dalla Svizzera, per tenere lontane possibili indagini antimafia, si passa oltreoceano. «L\’ unica cosa è stata di fare la società americana, e sapete perché? Perché qui arrivano alla società, ma non al proprietario della società», spiega l\’ avvocato ai fratelli Gallico in un altro colloquio intercettato. Sembrano i segreti della finanza messi al servizio della \’ ndrangheta. Ma gli affiliati alle \’ ndrine, quando si tratta di denaro o terreni da gestire, come in questo caso, si mostrano per quello che sono. Gente semplice. Così capita che un altro dei fratelli Gallico – Carmelo, nuovamente arrestato ieri – parlando con lo stesso avvocato qualche mese più tardi appaia dubbioso: «Se fanno un sequestro se la prendono lo stesso, avvocato, la società. E poi se vanno a fare indagini, c\’ è un vulcano là… Bisogna evitare… sarà peggio ancora…». Il legale s\’ industria per immaginare nuove soluzioni, e insiste: «…trovare un avvocato che faccia un\’ altra società senza di…». Finché Gallico sbotta: «Ma sempre società, società, avvocato… come facciamo che tutti i soldi se li mangiano in questa maniera». Meglio i tradizionali prestanome, sembra pensare. Allora l\’ avvocato si adegua, ma consiglia: «Dovresti trovare una persona preparata… una persona nuova…che sia lui che incominci a fare i lavori… incominci a vedere quello che si deve fare… un\’ altra persona». L\’ ennesimo insospettabile, per allungare la catena.