Fonte: La Repubblica (Raffaella Cosentino) – Le chiamano \”cooperative\” e spesso il datore di lavoro è anche il proprietario dell\’appartamento in cui vivono i migranti, oppure è amico del proprietario. Se si perde il lavoro, si perde anche la casa. Durante il picco della raccolta non ci si può ammalare. Chi non si presenta un giorno perché ha la febbre, da quel momento in poi viene lasciato a piedi dal furgone del padrone. \”Sono aumentati i lavoratori ingaggiati ma è come se lavorassero in nero perché non gli vengono dichiarate le effettive giornate di lavoro\”, dice Giuseppe De Lorenzo della Camera del Lavoro di Corigliano Calabro. Basta leggere le tabelle dell\’Inps del 2010. Angelo, Annunziata, Cosimo e gli altri nomi italiani hanno dalle 80 alle 156 giornate di contributi versati. Abdul, Mustafa, Mehmed ne hanno 4, 11 e 8.
La grande truffa all\’INPS. \”E\’ uno sfruttameno che rasenta la schiavitù, un tipo di sistema che alimenta i falsi braccianti che godono dei diritti previdenziali al posto di chi lavora veramente\”, afferma Angelo Sposato, segretario generale della Cgil del Pollino, Sibaritide e Tirreno. Questo, nonostante una grossa truffa all\’Inps per i falsi braccianti fosse già venuta fuori nel 2009 con 1350 rapporti di lavoro annullati e un risparmio di 7 milioni di euro per l\’Inps. \”Stiamo parlando di cifre annue in indennità accessorie (malattie, assegni familiari) erogate dall\’Inps che vanno da un minimo di 5mila euro l\’anno fino a 12mila euro, la \’ndrangheta si è accorta da anni di questo giro di soldi – spiega Vincenzo Casciaro, responsabile area urbana della Cgil – Grazie a questo sistema sono state costruite fortune politiche ed elettorali, oltre al pizzo di 1.000, 1.500 euro che un falso bracciante paga a chi gli fa avere queste indennità\”.
La \’ndrangheta tra produttore e consumatore. Nella filiera agrumicola i due anelli più importanti della catena, il produttore e il consumatore, si sono allontanati troppo. In mezzo c\’è una serie di soggetti intermediatori in cui si infiltra la \’ndrangheta. Nella Piana di Sibari i proprietari terrieri si affidano alle cooperative per la raccolta. La vendita e il prezzo delle clementine sono stabiliti da alcuni passaggi: il mediatore valuta il campo e mette in contatto il produttore con i commercianti, i quali a loro volta conferiscono nei magazzini di stoccaggio da cui poi i mandarini partono per i mercati generali ortofrutticoli come Fondi e Milano, dove si fa il prezzo. Alla fine, le clementine costano al consumatore una cifra che varia tra 1,50 e 2,50 euro al chilo e vengono pagate all\’agricoltore 15 centesimi. Al di sotto dei dieci centesimi non conviene più raccoglierle. \”Ci sono punte di eccellenza, grosse aziende che hanno cercato di eliminare anelli di questa catena, così riescono a ottenere prezzi più alti\” dice Casciaro.
Le aziende incendiate. Natalino Gallo commercializza 110mila quintali di clementine che arrivano nella grande distribuzione su 21 piattaforme del nord Italia e all\’estero in Austria, Germania e Polonia. Nel cortile della sua azienda, una statua e una targa ricordano \”non siamo mai stati lasciati soli\”. L\’8 dicembre 2008 un incendio doloso gli distrusse l\’azienda. \”Volevo mollare tutto, ma in due giorni abbiamo ripreso l\’attività – racconta l\’imprenditore – grazie alla solidarietà dei miei dipendenti che hanno accettato di lavorare fino alle 11 di sera e delle altre aziende della Compagnia delle Opere (braccio economico di Comunione e Liberazione, ndr.) che mi hanno prestato le attrezzature\”.
Guadagni immediati con l\’illegalità. Gallo lavora in consorzio e ha un rapporto diretto con i produttori delle clementine. Sono 450 posti di lavoro fra italiani e stranieri. \”Da dieci anni tratteniamo una percentuale alle cooperative che lavorano con noi e gliela diamo solo dopo che pagano i contributi ai lavoratori – spiega – con l\’illegalità c\’è un guadagno immediato, ma dopo c\’è il deserto\”. Gallo dice di non avere paura degli ispettori del lavoro, da lui tutto in regola e perfino la musica in filodiffusione per gli operai dell\’impianto. \”Nel nostro consorzio dobbiamo rispettare i codici etici, ma servono più controlli – continua – tutti questi piccoli produttori che non pagano i lavoratori comunque non guadagnano, vendono a prezzi umilianti. Io riesco a pagare al produttore 25 centesimi al chilo, dieci centesimi in più\”. Le sue clementine hanno il marchio Igp. La grande distribuzione acquista da lui, direttamente alla fonte. \”Ma il problema è che il prezzo lo fanno i mercati generali, non una borsa. Al mercato di Milano arriva anche chi non ha garanzia di prodotto ed è questo che ha fatto crollare il prezzo della frutta, ci si basa sulla quantità\”. Per capire il tracollo: negli anni Novanta un chilo di clementine valeva 1.500 lire, oggi dovrebbero essere 70 – 80 centesimi