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Quattro `locali´ in Liguria, come si chiamano le unità minime di riferimento della `ndrangheta: Sarzana, Lavagna, Genova e Ventimiglia. E poi un’altra mezza dozzina tra Mentone, Nizza, Marsiglia e Tolone. Ma è Ventimiglia che è diventata nel tempo `camera di controllo´ dell’intero territorio costiero: qui si smistano in Europa i boss latitanti, si fissano le aree di competenza e si dirimono le controversie tra le varie famiglie salite al nord dalla Calabria.

Qui a Ventimiglia sono passate, e in alcuni casi sono rimaste, famiglie `ndranghetiste di peso come i Pepè-Pellegrino-Barilaro, i Gioffrè-Santaiti, Bruno Aricò e Rocco Cannizzaro, i Piromalli, i Morabito-Palamara, i Gullace-Raso-Albanese.

Le attività di maggior interesse sono l’edilizia, il movimento terra, ma anche e soprattutto l’usura, il riciclaggio del denaro sporco, le sale giochi. In modo particolare i lavori pubblici consentono alla `ndrangheta di riciclare denaro e di rafforzare il potere economico e politico di ciascuna ´ndrina che lo replica poi in Calabria. E in alcuni casi, il riuscire a collocare propri uomini in posti chiave è fondamentale.

Ma la peculiarità di Ventimiglia è l’essere città frontaliera. Facile dunque pensare di utilizzarla come passa-via per latitanti, per partite di stupefacenti, per combinare accordi con i Marsigliesi e per `scambi´ con altre organizzazioni criminali quali, per esempio, la camorra, per guardare all’Europa. Ventimiglia come Bordighera, città a sé stanti ma così vicine da fondersi senza soluzione di continuità, hanno subito la stessa sorte. Nelle carte che hanno portato alle relazioni finite sulla scrivania del ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri, si replicano uno via l’altro i nomi dei `rappresentanti´ calabresi al nord della `ndrangheta. Tutti titolari di aziende edilizie che partecipano ad appalti pubblici, tutti ´impegnatì professionalmente negli stessi settori: edilizia ma anche gestione di slot machine.

Ventimiglia e Bordighera, stessa sorte. E come in una storia-fotocopia in entrambi i comuni si moltiplicavano gli incendi dolosi di bar e di macchine, con tanto di tariffario. Scrive la procura nazionale antimafia: «è stato altresì accertata l’esistenza di una specie di `tariffario´ per l’esecuzione di tali attentati che va dai 700 ai 1000 euro, destinato come compenso a coloro che materialmente operano». E poi le minacce, le amicizie di questo o di quello con personaggi pubblici, politici e non che venivano poi fotografati a feste di battesimo e a matrimoni. E i nomi? Sempre gli stessi.

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