\”Chiude l\’Italcementi a Vibo Valentia dopo oltre mezzo secolo di produzione. 82 lavoratori, e il relativo indotto, vanno incontro a un futuro gravido di incertezze e grandi disagi. La situazione della mia Calabria è esplosiva: imprenditori che pagano il pizzo, altri che scelgono di chiudere e di andarsene, grandi ditte che scelgono di trasferire in altre aree geopolitiche, ritenute più convenienti, la loro macchina produttiva.
E il futuro dei giovani calabresi? E le loro speranze? E la politica cosa fa?
Intanto la \’ndrangheta governa indisturbata: guai a turbarne gli affari. E la Calabria muore nel silenzio e nell\’indifferenza. Povera terra mia\”.
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Fonte: Il Quotidiano della Calabria – Trovano ufficialità le indiscrezioni sullo stabilimento di Vibo Marina che dal 1939 era baricentro economico della zona. L\’azienda bergamasca denuncia il crollo del mercato e dichiara di dover tagliare «gli impianti caratterizzati da andamento dei costi per materie prime o energetiche che non li rendono competitivi»
VIBO VALENTIA – E\’ Giovanni a consegnare il documento che vuol dire la fine dei sogni. Ha 46 anni. Di cui ben 26 passati a lavorare all\’interno dello stabilimento industriale della Italcementi di Vibo Marina. Le mani sono screpolate, qualche taglio compare sopra i polpastrelli. Segni indelebili della fatica. Del lavoro di fabbrica. Di tanto sudore buttato giorno dopo giorno per un salario da operaio da prendere ogni 30 del mese e sbarcare il lunario. «La scelta dell\’azienda di chiudere la cementeria di Vibo Marina è un fatto assurdo, gravissimo. Una vergogna – tuona l\’operaio-sindacalista – E\’ una decisione che noi contestiamo in maniera durissima anche perché non crediamo alle motivazioni addotte dai vertici della Italcementi. Ci sono ragioni che non stanno in piedi e, dunque, pensiamo che tali motivi vadano rapidamente sovvertiti. Questa è una fabbrica che cammina a ciclo continuo. La crisi, al contrario di quanto afferma l\’azienda nella sua nota, dalle nostre parti è stata avvertita poco rispetto agli altri stabilimenti che il Gruppo Italcementi possiede nel resto del Paese. Noi vendiamo dai 23 ai 24 mila quintali di cemento al giorno. Ma di quale crisi stiamo parlando? Qui forse c\’è dell\’altro».
Lo stabilimento della Italcementi di Vibo Marina chiude per sempre i battenti. Stessa musica anche per quello di Porto Empedocle in provincia di Agrigento. E nell\’arco di qualche mese i forni della fabbrica saranno messi definitivamente spenti. Pienamente confermate, dunque, le indiscrezioni che in questi ultimi giorni il Quotidiano ha puntualmente pubblicato su quella che all\’inizio sembrava solo una ventilata ipotesi. Ieri mattina, invece, è arrivata la conferma. Nero su bianco. Tutto impietosamente scritto in una fredda lettera indirizzata a ministeri e sindacati. Confindustria Vibo e Regione Calabria. Nei fogli consegnati ieri mattina dai vertici della società di Bergamo, leader nella produzione del cemento in Italia e nel mondo, alle Rsu nel corso di un velocissimo incontro.
L\’azienda, dunque, ha aperto la procedura di mobilità per tutti gli 82 dipendenti (tra operai, tecnici e amministrativi) della fabbrica della frazione marina. In una parola: sarà licenziamento collettivo. Smacco per il Vibonese, fallimento di una intera classe dirigente locale che presto sarà chiamata a dare conto dell\’ennesima fabbrica smantellata in un territorio che paga da anni il disinteresse di molti. Di tutti. La cementeria, iniziata a costruire nel lontano 1939, dismette la produzione. Lasciando per strada non solo gli 82 dipendenti diretti, ma anche le circa trenta aziende locali del settore e le centinaia e centinaia di altri lavoratori dell\’indotto. Imprese e operai che da anni gravitano attorno alla cementeria della frazione. Insomma, una mannaia sul già fragilissimo tessuto produttivo di questa terra. Un colpo profondo all’intera economia locale.
«La grave crisi dell\’edilizia – si legge, dunque, nel testo del documento diffuso dalla Italcementi – ha prodotto i suoi effetti su tutti i settori dei materiali da costruzione, in particolare su quello del cemento». L\’intervento di razionalizzazione – è scritto sempre nel documento – «interessa prioritariamente gli impianti caratterizzati da andamento dei costi per materie prime o energetiche che non li rendono competitivi rispetto ad altri e che li collocano fra quelli che generano passività non ulteriormente sopportabili».
Immediata la reazione dei lavoratori dopo avere appreso la notizia della messa in mobilità. Gli stessi, infatti, in tarda mattinata di ieri si sono riuniti in assemblea permanente ed hanno deciso di occupare la fabbrica. Nel pomeriggio anche il blocco temporaneo della statale 522. Martedì prossimo, invece, è previsto un vertice in Prefettura.
A tarda sera, poi, la Italcementi ha fatto giungere nelle redazioni dei giornali un comunicato. Nella nota stampa, dopo avere evidenziato ancora la difficile situazione del mercato in Italia, «il quale ha registrato nei primi mesi del 2012 una nuova forte diminuzione della vendita del cemento con una caduta del 25 per cento tra gennaio e aprile del 2012 rispetto allo stesso periodo dell\’anno precedente», l\’azienda fa presente che a Vibo Marina, in particolare, «il difficile contesto in cui si è trovata ad operare la cementeria ha precluso soluzioni logistiche e normative che avrebbero consentito di mantenere un adeguato livello di competitività industriale. L\’impianto sarà chiuso entro il terzo trimestre dell\’anno e sarà attivata una procedura di mobilità per tutto il personale», viene ribadito in chiusura di documento.
E dal mondo politico calabrese si sollevano le prime reazioni, con i consiglieri regionali Censore e Bruni che hanno annunciato di aver «sottoposto al Consiglio regionale l\’approvazione di un ordine del giorno per impegnare, fin dalle prossime ore, il Presidente della Giunta e tutto il Governo regionale alla costituzione di un tavolo di crisi intorno al quale trovino posto i vertici dell’azienda e le parti sociali e che abbia come immediata conseguenza il mantenimento del livello occupazionale insieme a nuove prospettive produttive di un’azienda che è storicamente legata al territorio».