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\”Quante scuse, quanta ipocrisia per nascondere una verità che ormai abbiamo capito da tempo: il tempo della Fiat così come la conoscevamo è finito, in Italia. Ed il piano di Marchionne è stato evidente fin da subito. Chi non vuole riconoscere questo semplice dato di fatto, ovvero che la proprietà ed il management hanno iniziato anni fa a pensare a una delocalizzazione massiccia, è un ipocrita, oppure non ha capito nulla nè di industria nè di imprenditoria.

E la famosa Fabbrica Italia? E gli \’osanna\’ per l\’imprenditore illuminato? Tutto finito, tutto archiviato. In Italia rimarrà qualcosa di istituzionale, tanto per dare una specie di contentino a quelle Istituzioni che vorranno farsi prendere in giro, ma la produzione avverrà all\’estero.

Questo, oltre che essere un dramma per centinaia di migliaia di lavoratori e per le loro famiglie, è anche un enorme danno per il Paese.\”

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Fonte: Il Sole 24 ore – «Con un mercato italiano a 1,4 milioni di auto, ovvero i livelli del 1979, uno degli impianti italiani dovrebbe essere chiuso. E il mercato rimarrà a questi livelli per i prossimi 24-36 mesi». Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat e Chrysler, ha ribadito ieri – dopo i dati disastrosi di giugno – la sua visione pessimistica del mercato. L\’occasione era il lancio della 500L, che arriverà sul mercato in autunno e resterà l\’ultima grossa novità di Fiat per un pezzo. «Se il mercato italiano rimane quello di adesso – dice Marchionne – lanciare adesso la nuova Punto sarebbe un grandissimo fallimento, non riusciremmo mai a ripagare l\’investimento». Anche ieri però, come in passato, il manager si è fermato prima di annunciare misure drastiche. A Mirafiori dovrebbe partire l\’investimento per un piccolo Suv con i marchi Fiat e Jeep. Lo confermate? «Confermiamo tutto». Ieri i giornalisti hanno intravisto un prototipo di crossover che «non verrà prodotto in Serbia» e che dovrebbe essere quello destinato a Mirafiori.
A Mirafiori avrebbe dovuto arrivare la 500L presentata ieri qui a Torino. Un investimento da 1 miliardo di euro (di cui 200 milioni per ricerca e sviluppo) che Marchionne nel 2010 ha dirottato sulla fabbrica serba di Kragujevac grazie anche a un consistente aiuto da parte del Governo di Belgrado (quanto consistente, non ha voluto dirlo). In attesa dell\’investimento promesso, Mirafiori viaggia ancora con la vecchia Mito e con dosi elevate di Cassa integrazione, così come Melfi da cui esce la Punto.
L\’allarme di Marchionne sull\’eccesso di capacità non è nuovissimo. Anzi: in un\’intervista dell\’anno scorso (con un mercato meno disastroso dell\’attuale) il manager aveva addirittura parlato di «due stabilimenti italiani a rischio su cinque se non si riuscisse a utilizzarli anche come base per esportare fuori dall\’Europa». La sovracapacità è comune a quasi tutti i costruttori, e il problema – ha detto Marchionne – è che «chi chiude per primo dà una mano agli altri». La soluzione, l\’unica via di uscita secondo il manager, è esportare verso altri mercati, in primis gli Usa. Le 500L prodotte in Serbia ci andranno dalla prima metà del 2013.
E gli stabilimenti italiani? «Fino a quando non avremo un livello sufficiente di tranquillità, non riusciremo a esportare» ha detto ieri Marchionne, riferendosi allo stato delle relazioni industriali. Gli avvocati del Lingotto depositeranno oggi il ricorso contro la sentenza del Tribunale di Roma che obbliga la Fiat ad assumere 145 operai Fiom per porre rimedio a quella che il giudice ha ritenuto una discriminazione. Marchionne sostiene che discriminazione non c\’è stata, ed è sufficiente per lui aver assunto 20 tesserati Fiom su 2mila (che poi hanno rinunciato alla tessera) per smentire l\’argomento statistico della sentenza. «In ogni caso, se dovremo assumere 145 persone, «altre 145 dovranno uscire dal sistema» taglia corto. Ma cosa vuole davvero Marchionne dai sindacati? Il manager ha citato ieri «il contratto firmato dalla General Motors con i sindacati inglesi per tenere aperto l\’impianto di Ellesmere Port: 51 settimane lavorative, tre turni al giorno, straordinario al sabato obbligatorio se necessario – contratto per la durata della produzione della vettura. Quello è lo standard – ha detto -. L\’accordo che abbiamo fatto noi è molto superiore». General Motors – anch\’essa in rosso e con almeno uno stabilimento di troppo – ha fatto leva sulla potenziale rivalità tra sindacati tedeschi e inglesi per strappare le concessioni.
Ieri i dati di vendita sui mercati nordamericani hanno confermato l\’ottimo stato di salute della Chrysler: le vendite a giugno negli Usa sono cresciute del 20% a 145mila veicoli dai 120mila di un anno prima; è il 27° mese consecutivo di aumenti delle vendite. «Nel primo semestre Chrysler ha consegnato 1,23 milioni di auto, più di metà del target dell\’intero 2012» ha detto Marchionne, secondo il quale «il risultato operativo sarà di almeno 3 miliardi di dollari». Ieri il Lingotto ha annunciato di aver esercitato l\’opzione per acquistare il 3,32% di Chrysler dal fondo Veba; a seguito del perfezionamento dell\’acquisto, atteso nelle prossime settimane, Fiat deterrà il 61,8% del capitale di Chrysler. L\’operazione conviene anche perché l\’esborso atteso per il Lingotto in base ai parametri contrattuali – meno di 200 milioni di euro – è inferiore a quello che Fiat pagherebbe esercitando l\’intera opzione sulla quota Veba. La decisione su quando comprare la quota residua è una questione di tempi: con il milgioramento dei conti Chrysler, l\’acquisto diventerà sempre più caro. «Fiat ha i fondi necessari – ha detto ieri Marchionne -. Dobbiamo metterci attorno a un tavolo con il Veba».

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