\”Una pagina oscura della storia del nostro Paese, un episodio da verificare e su cui fare chiarezza; è impensabile che una intera nazione rimanga nel dubbio su fatti come questi? C\’è stata trattativa? Se c\’è stata, chi sono gli attori di questo dramma, e quali le forze scese in campo?
E la domanda principale secondo me è: che prezzo abbiamo dovuto pagare noi Italiani per onorare questa trattativa?\”
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Fonte: Il Sole24 ore – I pm di Palermo hanno firmato la richiesta di rinvio a giudizio dei 12 indagati per la trattativa Stato-mafia. La richiesta di rinvio a giudizio, firmata dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dai pm Nino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene e vistata, ma non firmata, dal procuratore Francesco Messineo, riguarda i capimafia Totò Riina, Giovanni Brusca, Nino Cinà, Leoluca Bagarella e Bernardo Provenzano. Il processo verrà richiesto anche per il figlio dell\’ex sindaco Vito Ciancimino, Massimo, per il generale dei carabinieri, Mario Mori, per l\’ex colonnello dell\’Arma, Giuseppe De Donno e per l\’ex capo del Ros, Antonio Subranni. L\’istanza riguarda, inoltre, l\’ex ministro dell\’Interno, Nicola Mancino, il senatore del Pdl, Marcello Dell\’Utri e l\’ex ministro Calogero Mannino. Gli imputati sono accusati a vario titolo di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato e concorso in associazione mafiosa. Mancino risponde di falsa testimonianza e Ciancimino, oltre che di concorso in associazione mafiosa, di calunnia.
Il particolare che colpisce, nella richiesta di rinvio a giudizio, è la mancata firma del capo della procura Messineo. Quando un mese fa si seppe che la sua firma non era accanto a quelle dei suoi pm nell\’atto di chiusura dell\’indagine sulla trattativa Stato-mafia, spiegò che la legge non lo obbligava a sottoscrivere il provvedimento conclusivo di un\’inchiesta di cui non era titolare. Oggi quella posizione è per certi versi confermata e non appare più una questione di forma giuridica, ma di sostanza. Anche se in realtà stavolta compare il visto – ma non la firma – del procuratore capo di Palermo. È «una presa d\’atto che non significa condivisione né assunzione di responsabilità» commenta una fonte giudiziaria. La richiesta dei pubblici ministeri, comunque, è stata trasmessa all\’ufficio del gip che ha cinque giorni per decidere la data dell\’udienza preliminare, sede in cui gli imputati possono chiedere riti alternativi o sottoporsi alla pronuncia di proscioglimento o rinvio a giudizio. L\’atto sarà notificato anche all\’Avvocatura dello Stato perché possa costituirsi in giudizio per conto della Presidenza del Consiglio dei ministri indicata come parte lesa.
«Preferisco farmi giudicare da un giudice terzo. Dimostrerò la mia estraneità ai fatti addebitatimi ritenuti falsa testimonianza, e la mia fedeltà allo Stato» ha detto subito Mancino. Negli ambienti giudiziari è considerato scontato, del resto, che la richiesta dei pm di Palermo venga accolta. Pesante, invece, l\’intervento di Antonio Di Pietro (Idv): «La richiesta di rinvio a giudizio conferma che su quello che successe in Sicilia all\’inizio degli anni \’90 è calato per due decenni un velo di complicità e di omertà».
Resta intanto in attesa della decisione della Corte costituzionale il tema delle intercettazioni tra Mancino e il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ritenute irrilevanti per l\’indagine. Il capo dello Stato ha incaricato l\’Avvocatura dello Stato di promuovere il conflitto di attribuzione tra poteri davanti alla Consulta, bacchettando la Procura per avere intercettato chi, come il presidente della Repubblica, non può essere ascoltato, se non nei casi previsti dalla Costituzione e solo dopo essere stato rimosso dalle Camere; e per non avere ancora distrutto le conversazioni indebitamente intercettate.