di Daniele e Carlotta del settore giovani di AC
Domenica 20 Gennaio, ad Acqui Terme presso il salone dell’Ex-Caimano, si è svolto il convegno Pace Giovani di Azione Cattolica, cui hanno partecipato oltre 130 persone, tra giovani e adulti, provenienti anche da diversi paesi della diocesi, tra cui Ovada, Canelli, Nizza,
Immaginavamo che sarebbe stato un incontro forte ed emozionante ma non avevamo pensato ad una batosta di questo tipo. Si ! Una batosta. Perché quando incontri persone così grandi ti senti in colpa pensando a quante cose in più potresti fare, a quanta generosità nei confronti degli altri e a quanto coraggio in più potremmo avere nelle scelte, piccole o grandi, che siamo chiamati a fare nella nostra vita di tutti i giorni.
Il mattino, dopo una breve attività, ha avuto il suo momento centrale nella S.Messa a san Francesco, celebrata da don Franco, alla quale è seguito un cordiale saluto del nostro Vescovo, mons. Micchiardi. Presso la mensa della fraternità i volontari ci hanno preparato uno squisito pranzo. Un grazie di cuore ad Anna, Meco, Piera, e aMario e Dorina di EquAzione-Bottega del Commercio equo e solidale che hanno curato anche il banco libri.
Pino è un Testimone di giustizia e imprenditore edile calabrese sottoposto dal 18 ottobre 1997, assieme alla moglie e ai due figli, ad un programma speciale di protezione per aver denunciato la ’ndrangheta e le sue collusioni politiche. Da quel momento, da quella denuncia la sua vita, e quella di tutta la sua famiglia, è cambiata radicalmente, diventando,in molti momenti di paura, di abbandono, di solitudine e di sofferenza, una “non vita” per usare le stesse parole di Pino.
E tutto questo per cosa? Per un profondo e radicato senso dello Stato, della legalità, di giustizia…. Che lo hanno spinto a rifiutare il silenzio, l’omertà e il scendere a compromessi. Negli ultimi anni Pino ha raccontato la sua esperienza in molte scuole e università in diverse città italiane, infatti come lui stesso ha sottolineato più volte, una delle “armi” più potenti che abbiamo a disposizione per provare a sconfiggere le mafie è proprio la cultura, l’istruzione, che sono infatti qualcosa di molto temuto a parte del mondo mafioso. E domenica ha accettato di condividere anche con noi la sua esperienza personale di lotta.
E’ difficile spiegare quello che le sue parole hanno suscitato in noi, nelle nostre coscienze, spesso un po’ intorpidite e incapaci di pensare e di sognare in grande, proprio come ha fatto Pino, che con la sua scelta coraggiosa e difficilissima, ha dato concretezza al sogno di poter lasciare ai suoi figli e alle generazioni future un mondo diverso, in cui sia possibile dire no alla criminalità e alla logica del potere.
Non pagando il pizzo, non solo ha perso il suo lavoro, le sue aziende, la sua vita agiata conquistata in anni di duro lavoro, ma ha perso anche la sua terra d’origine, la Calabria, la casa in cui abitava, gli affetti, gli amici di sempre. Non è stata una scelta facile: pagare il pizzo ( 3% dell’intero guadagno) non era un problema di tipo economico, l’ ndrangheta non ha bisogno dei soldi che può ottenere dai piccoli-medi imprenditori, e infatti non chiede neanche cifre esorbitanti, quello che le interessa è il poter imporre il suo potere. Più volte nel corso del suo intervento è riecheggiato il nodo della paura e del coraggio, quella solitudine e della solidarietà, e sono risuonate le parole di Pino e di sua moglie Marisa: “Ogni persona che viene a conoscenza della mia storia mi allunga la vita di un giorno”. Da qui l’esigenza di “organizzare il coraggio” (che è anche il titolo del libro da loro scritto per raccontare la loro esperienza ed impegno) non come sentimento o stato d’animo passeggero, ma come dimensione della persona e della comunità.
Il pomeriggio ha avuto come momento centrale la testimonianza di Pino Masciari, introdotto da Marco Chiapella, con gli interventi di Carlo Piccini, responsabile provinciale di “Libera”, dell’assessore comunale Mirko Pizzorni e di diversi partecipanti.
Pino è un Testimone di giustizia e imprenditore edile calabrese sottoposto dal 18 ottobre 1997, assieme alla moglie e ai due figli, ad un programma speciale di protezione per aver denunciato la ’ndrangheta e le sue collusioni politiche. Da quel momento, da quella denuncia la sua vita, e quella di tutta la sua famiglia, è cambiata radicalmente, diventando,in molti momenti di paura, di abbandono, di solitudine e di sofferenza, una “non vita” per usare le stesse parole di Pino.
E tutto questo per cosa? Per un profondo e radicato senso dello Stato, della legalità, di giustizia…. Che lo hanno spinto a rifiutare il silenzio, l’omertà e il scendere a compromessi. Negli ultimi anni Pino ha raccontato la sua esperienza in molte scuole e università in diverse città italiane, infatti come lui stesso ha sottolineato più volte, una delle “armi” più potenti che abbiamo a disposizione per provare a sconfiggere le mafie è proprio la cultura, l’istruzione, che sono infatti qualcosa di molto temuto a parte del mondo mafioso. E domenica ha accettato di condividere anche con noi la sua esperienza personale di lotta.
E’ difficile spiegare quello che le sue parole hanno suscitato in noi, nelle nostre coscienze, spesso un po’ intorpidite e incapaci di pensare e di sognare in grande, proprio come ha fatto Pino, che con la sua scelta coraggiosa e difficilissima, ha dato concretezza al sogno di poter lasciare ai suoi figli e alle generazioni future un mondo diverso, in cui sia possibile dire no alla criminalità e alla logica del potere.
Non pagando il pizzo, non solo ha perso il suo lavoro, le sue aziende, la sua vita agiata conquistata in anni di duro lavoro, ma ha perso anche la sua terra d’origine, la Calabria, la casa in cui abitava, gli affetti, gli amici di sempre. Non è stata una scelta facile: pagare il pizzo ( 3% dell’intero guadagno) non era un problema di tipo economico, l’ ndrangheta non ha bisogno dei soldi che può ottenere dai piccoli-medi imprenditori, e infatti non chiede neanche cifre esorbitanti, quello che le interessa è il poter imporre il suo potere. Più volte nel corso del suo intervento è riecheggiato il nodo della paura e del coraggio, quella solitudine e della solidarietà, e sono risuonate le parole di Pino e di sua moglie Marisa: “Ogni persona che viene a conoscenza della mia storia mi allunga la vita di un giorno”. Da qui l’esigenza di “organizzare il coraggio” (che è anche il titolo del libro da loro scritto per raccontare la loro esperienza ed impegno) non come sentimento o stato d’animo passeggero, ma come dimensione della persona e della comunità.
Pino, come cittadino italiano, si è sentito in dovere di fare quel passo che avrebbe segnato per sempre la sua vita e quella della sua famiglia scegliendo di denunciare i malavitosi. Tramite un programma di protezione per i testimoni di giustizia si è trasferito al nord, dove, solo dopo anni, e attraversando momenti durissimi, ha provato a ricostruirsi una vita, non lontana però da quel mostro che è la mafia. Pino infatti ha ricevuto negli anni numerose minacce, intimidazioni, non tanto per quello che ha fatto, ma per quello che continua a fare, informare le persone. L’ averlo incontrato ha risvegliato in tutti noi quel senso civico che molto spesso viene meno, e ha fatto nascere in noi la voglia di lottare e di impegnarci nel nostro piccolo per alimentare sempre la sete di giustizia, di legalità, di senso dello stato … ora starà a ciascuno di noi il compito di coltivare e di far crescere questo seme di Pace.
Per chi volesse approfondire: http://www.pinomasciari.it/ Il libro: Organizzare il coraggio. La nostra vita contro la \’ndrangheta, di Pino e Marisa Masciari, (ADD, Torino, 2012).