Vincitore del ‘Premio del pubblico’ al Roma Fringe Festival 2013, ‘Padroni delle nostre vite’, spettacolo di e conTure Magro prodotto da ‘Sciara Progetti’, in questi giorni è in scena in Germania con due date. Si tratta di un grande spettacolo di teatro civile, in grado di smuovere le coscienze e sensibilizzare su un tema fondamentale come la legalità attraverso il racconto di una storia vera, uno spaccato di vita vissuta capace di disegnare un’Italia reale e coraggiosa. Un testo di peso e importanza vitali per il nostro Paese: il racconto della vicenda diPino Masciari, imprenditore calabrese costretto a fuggire dalla propria terra per l’oppressione minacciosa della ‘ndrangheta. Il coraggio di un testimone di giustizia e della sua famiglia costretti nella ‘morsa’ di un apparato burocratico dello Stato ottuso e farraginoso e il rischio incombente di rimanere uccisi. Per non parlare degli innumerevoli disagi patiti nel corso di un decennio trascorso a nascondersi. L’interpretazione di Ture Magro è assolutamente da segnalare: sentita, accorata, coinvolgente. Uno spettacolo eccellente, “da far girare ovunque”, ha dichiarato Lina Wertmuller. Con piena ragione. Ecco, dunque, la nostra intervista al bravissimo Ture Magro per i lettori diwww.laici.it.
Ture Magro, puoi parlarci di questo tuo splendido spettacolo, in cui racconti le vicende e il lungo decennio di disagi vissuti dall’imprenditore calabrese Pino Masciari e dalla sua famiglia?
“Si tratta di una rappresentazione che stiamo portando in giro ovunque: veniamo, infatti, da centinaia di repliche messe in scena in tantissime scuole italiane che, spesso, risultano più adatte per spettacoli di questo genere. Da Siracusa a Lecco, siamo stati ovunque. E adesso siamo in Germania. Abbiamo proprio voglia di raccontarla questa storia, partendo dal punto di vista del nostro lavoro, che è quello di voler raccontare una vicenda importante, che descrive un meccanismo che si è inceppato, nel nostro Paese. Secondo me, infatti, raccontando la storia di Pino Masciari si può comprendere bene che cosa, in Italia, non funziona proprio più: uno Stato che viene mantenuto in una condizione di totale disorganizzazione e una malavita che ha raggiunto livelli francamente incomprensibili, diventando una borghesia di ‘colletti bianchi’, toccando alti e altri livelli”.
Uno dei temi che colpisce del tuo spettacolo è infatti la ‘morsa’ che si viene a creare tra uno Stato lento e farraginoso e l’incombente minaccia della ‘ndrangheta nei confronti dell’imprenditore calabrese Pino Masciari: è una condizione determinata da difficoltà oggettive, oppure la cosa talvolta è voluta? La connivenza tra mafia e politica è ormai di così alto livello da paralizzare completamente lo Stato?
“Stiamo dicendo parole ‘forti’, ma noi raccontiamo le vicende di un uomo che si è ritrovato esattamente in un simile meccanismo, all’interno di uno Stato che, nel 1992, risultò totalmente impreparato ad accogliere e gestire i ‘testimoni di giustizia’. Un imprenditore calabrese, con più di cento dipendenti, decise di denunciare un sistema impressionante, colluso a tutti i livelli. All’epoca, il nostro sistema-Paese, di fronte a un coraggio del genere, si ritrovò completamente impreparato e non sapeva come organizzarsi. Ma da allora in poi, le cose sono sensibilmente migliorate proprio grazie a iniziative di questo genere. E’ per questo che è importante raccontare questa storia: per dire alla gente che denunciando, combattendo, diffondendo e informandosi su questo tipo di realtà, le cose possono cambiare. Poi, sia chiaro: c’è uno Stato ‘buono’ e una malavita che è entrata ovunque, condizionando il sistema a tutti i livelli; c’è chi combatte ogni giorno con lealtà e grande spirito di sacrificio e chi, invece, è arrivato ad accettare, senza alcun tipo di scrupolo, un’alleanza con la criminalità organizzata, dal banchiere svizzero al trafficante colombiano, dal funzionario corrotto al tipo che, dal porto di Dakar, in Senegal, riesce a far entrare la cocaina in tutta l’Europa. Tutto questo noi lo raccontiamo per far capire al pubblico quel che sta succedendo: non siamo qui a fare un teatro politico demonizzando tutto e tutti, Stato, banche e mercato: noi siamo qui a denunciare distorsioni gravissime, proponendo uno spettacolo di contenuto. A 20 anni dalla morte di Falcone e Borsellino ci è semplicemente venuta l’idea di raccontare la storia di un ‘vivo’, poiché Falcone e Borsellino sono morti proprio per permettere a uomini come Pino Masciari di continuare a vivere…”.
Dunque, avete volutamente evitato di ricorrere alla fattispecie del ‘martire’, una ‘figura retorica’ che in Italia funziona sempre forse proprio a causa dei nostri ‘retaggi’ cattolici più atavici?
“Sì, esattamente: noi non abbiamo voluto proporre un lavoro dedicato a un ‘martire’, ma a un uomo che sta ancora lottando. Perché Pino ancora oggi sta combattendo, sta cercando di andare avanti, protetto dalla rete, dalle associazioni culturali, da tantissimi giovani che si sono stretti attorno a lui per fare ‘barriera’ e proteggerlo”.
Non è alquanto strano che certi uomini, qui da noi, diventino degli eroi solamente da morti?
“Ovvio che è strano. E questo non dovrebbe succedere: è totalmente assurdo. Questo è il nostro Paese: l’Italia ha sempre bisogno di idoli, di miti, di vedere sempre volti ‘noti’, di un ‘grande teatro’ e di un ‘grande cinema’ composto da personaggi conosciuti. Anche questo è un meccanismo che non funziona più, che sta creando un’imbalsamazione, complessiva e collettiva, di questo Paese. Noi abbiamo proposto questo spettacolo persino in America Latina, tra popolazioni che hanno cominciato a muoversi, a scrivere, a dibattere questo genere di problemi. E ho visto intere nazioni cominciare a organizzarsi, a prendere consapevolezza intorno alla gravità di questi problemi. Da noi, invece, si continua a pensare di andare in ‘pellegrinaggio’ a Roma per incontrare qualcuno che, forse, un domani potrà darti un aiuto: noi vogliamo solamente fare il nostro mestiere. E vorremmo semplicemente vivere in un Paese che ci permetta di fare il nostro lavoro e di farlo bene. Questo è un Paese veramente ‘strano’, è vero: direi quasi, profondamente italiano…”.
Non è un punto di vista denigratorio? C’è chi ha dichiarato, in passato, che questo genere di rappresentazioni rappresentino una critica poco costruttiva nel merito di certi problemi: è così?
“Vi ringrazio per questa domanda. Noi non raccontiamo un Paese che semplicemente non funziona: noi raccontiamo uno Stato che, spesso, si ritrova impreparato, ma soprattutto un cittadino italiano che, invece, ha deciso di reagire, di farcela, di lottare in ogni modo, di non soccombere. E questo è un messaggio estremamente positivo. Noi parliamo soprattutto di 50 giovani ragazzi che hanno preso Pino Masciari e gli hanno detto: “Torniamo in Calabria: ti facciamo noi da scorta…”. Quindi, non c’è un ‘messaggio’ denigratorio: se anche da una parte c’è uno Stato con delle arretratezze evidenti, dall’altro parliamo di un mondo di giovani e di cittadini che hanno voglia di andare avanti, di cambiare questo stato di cose. Anche per questo noi portiamo questo lavoro nelle scuole: è proprio dal mondo della scuola che deve partire il cambiamento. E le scuole recepiscono molto bene questa rappresentazione. Tutto ciò è estremamente positivo, perché parliamo di un Paese che, nonostante tutto, è ancora ‘vivo’. Come lo stesso Pino Masciari, un uomo che ha saputo organizzarsi. Quindi, se noi andiamo dai giovani e diciamo loro: “Organizzatevi, fate rete, preparatevi, unitevi” e la stessa cosa cominciamo a farla anche noi attori e voi giornalisti rimarremo ‘vivi’ e potremo continuare a svolgere il nostro mestiere onestamente”.
La questione non è anche quella di una mancanza di etica del lavoro, poiché viene interpretato secondo una visione ‘impiegatizia’, senza un grande impegno nel proporre singole iniziative imprenditoriali o individuali? Insomma, non siamo un po’ troppo abituati a essere aiutati dall’alto, ad attenderci che lo Stato garantisca ogni nostro bisogno?
“Anche questo è vero, ma solo in parte: nel mondo, noi italiani siamo famosi per la nostra creatività, per il nostro ingegno, per la capacità di trovare soluzioni in situazioni, a prima vista, insormontabili. Quindi, attenzione: non è un caso se l’Italia possiede il 56% del patrimonio artistico e culturale dell’intero pianeta. Il problema è esattamente quello opposto: è adesso che stiamo diventando un Paese ‘obeso’, ‘stanco’. E’ oggi che siamo diventati dei trentenni o dei quarantenni che non hanno più voglia di rischiare, di creare. C’è troppa paura, questo è il fatto…”.
C’è paura, ma ci sono anche tante ‘porte’ sbattute in faccia…
“Sicuramente c’è anche questo: noi del mondo del teatro lo viviamo ogni giorno e non riusciamo ad andare avanti, se non attraverso grandissimi sacrifici. Ma non c’è solo questo aspetto: la nostra Costituzione, all’articolo 1, afferma che il lavoro è un principio fondamentale. Ma se proprio il principio fondamentale di questo Paese lo si fa diventare un ‘favore’, magari in cambio di un voto, allora sì che riduciamo l’Italia sul lastrico e nulla funziona più. La vera causa è questa distorsione: un diritto che diventa una ‘grazia’ concessa dall’alto. Io ho incontrato tantissimi italiani in tutto il mondo grazie a questo spettacolo: perché debbo incontrare fuori dall’Italia nostri artisti che stanno facendo grandissime cose e non posso vederli nel mio Paese? In Italia, invece, noi attori siamo considerati, quasi tutti, delle persone che perdono tempo, degli ‘artisti’ che vivono inseguendo delle ‘velleità’. E ciò accade perché stiamo perdendo ogni rapporto con l’Altro, col nostro prossimo, perché ci stiamo chiudendo sempre più nel nostro individualismo. Dobbiamo invece tornare a vivere con curiosità e più coraggio”.
Chiaramente, ogni copione teatrale è una prova per un attore: cosa ti ha dato ‘Padroni delle nostre vite’?
“Tutto cominciò con un ‘viaggio’ molto particolare: ci siamo recati in Calabria e abbiamo passato un periodo con Pino e la sua famiglia per cercare di assorbire tutta la loro energia. Adesso è più di un anno che recito questo testo e ogni volta apprendo che bisogna avere la forza di andare avanti. Ogni giorno, ogni replica, ogni messa in scena per me è uno scombussolamento, perché anche se racconto una storia personale, forse è anche un po’ mia, dato che sono nato in Sicilia e so come funzionano certe cose e cosa succede. Quindi, raccontare questa vicenda per me è uno sconvolgimento e una sofferenza continua. Stare là sopra e pensare che Pino Masciari, per 18 anni, con Marisa e i suoi figli hanno vissuto un incubo di questo genere è tremendo. Ogni tanto, sento anche il bisogno di distaccarmi da questo lavoro. Ma poi, mi accorgo che si tratta di un’opera che mi sta arricchendo, in termini umani e professionali, giorno dopo giorno. Io ho trovato una storia che racconta un Paese al Paese. E che oggi lo racconta anche all’Europa. Inoltre, è bellissimo entrare nella vita di un uomo e raccontarla nel giro di un’ora. Dal punto di vista interiore, ripeto, è uno sconvolgimento, perché ti arrabbi e ti rendi conto che queste persone hanno vissuto un incubo inaudito, costretti a vivere di nascosto per tutta l’Italia trattati come dei ‘pentiti’. Da cittadino, poi, ti senti anche in colpa per quello che Pino ha dovuto vivere. Sotto il profilo professionale, c’è una grande energia, un grande entusiasmo, perché se ognuno di noi si mettesse a fare bene il proprio mestiere, l’Italia potrebbe cambiare già domani mattina. Ecco, cosa mi ha dato veramente questo spettacolo: se io faccio l’attore e lo faccio bene raccontando questa storia, tutto può cambiare veramente”.
Cosa pensano all’estero di questi nostri problemi e di una rappresentazione di questo tipo?
“Per molti aspetti, essa risulta un’opera di non semplice comprensione, soprattutto in alcuni ‘passaggi’: non riescono a capire questo nostro essere ‘ingarbugliati’. Poi, ci sono anche tanti luoghi comuni che complicano le cose. Noi cerchiamo di far comprendere la bellezza del sud d’Italia, di far capire che non tutti i comportamenti sono omertosi, che Pino Masciari, per esempio, non lo è affatto, perché anzi si tratta di un uomo che ha cambiato completamente il rapporto di molti calabresi con la loro terra. Quindi, all’estero cerchiamo di far capire anche che c’è un’Italia bellissima, che combatte ogni giorno con coraggio, al di là di certi contesti ambientali”.
Articolo di: Francesca Buffo
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