Classe 1985, laureata in Beni Culturali, master in Marketing, un’infinita serie di stage e tirocini alle spalle, disoccupata. Una goccia in mezzo al quel mare che è il 40% della popolazione giovanile.
Non mi sono mai fermata, da quando ho conseguito la laurea: ho lavorato in biblioteca, in pinacoteca, in casa editrice, in un call-center. Sono stata giornalista, impiegata d’ufficio, segretaria, guida turistica.
Alcuni giorni riesco a non perdere l’ottimismo, mi sento carica, e nonostante senta i 30 anni avvicinarsi ho ancora speranze di trovare “un buon posto”. Altri invece mi sento svuotata, sfinita dal non far niente, spossata dall’ inoltrare curriculum ad aziende che molto probabilmente non lo leggeranno mai. Mi sento una risorsa inutilizzata, un potenziale inespresso.
Cosa posso fare? Mettermi in proprio? Con che soldi? E poi…troppe tasse!
Andare all’estero? Ma perché proprio io? Io che amo questo Paese, sono figlia unica e non ho mai avuto la smania di far carriera fuori dall’Italia. E poi la sentirei come una sconfitta.
Oggi ho capito come intendono risolvere la questione della disoccupazione giovanile. Vogliono eliminare il problema facendoci invecchiare. Così non saremo più giovani senza lavoro, ma vecchi senza lavoro.
Vecchi senza un’automobile, senza una casa, senza una famiglia nostra. Vecchi che contano sulla pensione striminzita dei genitori se ancora li hanno, e che continuano a vivere con loro nonostante la gran voglia di stare da soli.
Le nuove generazioni delle nostre famiglie vivono sulle spalle degli investimenti che i nostri nonni hanno realizzato dopo la Guerra con tanta dedizione e sacrificio. Noi invece siamo tutti laureati, molto più colti dei nostri nonni, ma molto più poveri, non solo economicamente. Siamo poveri dentro, perché non possiamo permetterci di sognare, poveri perché non troviamo la giusta collocazione in questa società. Siamo diventati parassiti della famiglia. Ma non siamo mammoni, non siamo incapaci, non siamo fannulloni, non siamo schizzinosi.
Noi siamo quelli disposti a trasferirci, siamo disposti a lavorare part-time, full-time, a chiamata, a collaborazione, a progetto.
Noi siamo quelli che lavorano anche gratis, perché stage e tirocini (che se va bene avremo il rimborso spese, tanto per non andare in perdita) ci possono dare un\’opportunità di \”inserimento\”.
Noi siamo quelli che gioiscono non perché troviamo lavoro, ma perché ci convocano ad un colloquio.
Questa mattina ne ho avuto uno, ad esempio. Ero felice, perché è raro essere chiamati per una posizione a tempo determinato, o che non sia per diventare venditore, a porta a porta o per telefono (e quindi stipendio a provvigioni, senza neanche un fisso garantito).
Mi ha accompagnato un amico, quarantenne, da qualche mese disoccupato pure lui. Ci siamo abbracciati.
Mi ha aspettato in macchina, pieno di speranza.
Anna A.