\”…..per andare alla DDA ho preso un taxi\”
<<Fa rabbia….Ci sono congiunti di politici, figli anche minori di politici, che vanno a passeggio sul corso di Vibo Valentia con la scorta. Mi domando chi abbiano mai denunciato per avere bisogno di protezione, mi domando chi abbia denunciato o cos\’abbia fatto il loro illustre genitore, che magari è stato pure condannato, per avere bisogno della scorta>>. Questo l\’incipit che usa il testimone di giustizia Pietro Di Costa. Nei giorni scorsi è stato chiamato dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro per la redazione di alcuni verbali e per tale motivo è rientrato in Calabria dalla località segreta. Torna il superteste sul tema della sicurezza:<<Mi fa rabbia pensare a questa storia dei politici scortati e dei loro congiunti scortati anche quando sono a passeggio, quando poi chi, come noi testimoni di giustizia, è davvero in pericolo si trova sovraesposto a causa dei cortocircuiti del sistema.>>.
Un esempio? Il percorso fatto per tornare dalla località segreta in Calabria. In auto come si vede in certi film? <<No, in treno. E se c\’è da scappare, su un treno come scappi?>>, dice e si domanda Pietro Di Costa. E non si tratta di un solo treno. >>Parti dalla località segreta, arrivi in una città, cambi, poi vai in un\’altra, cambi, poi c\’è l\’aggancio con la scorta che ti porta qui. Io -prosegue- non sono un pacco, ne è un pacco qualsiasi altro testimone di giustizia. Siamo prima di tutto uomini, gente che ha denunciato gravi reti e criminali pericolosissimi che non dimenticano e che sono capaci di aspettare mesi, anni, per vendicarsi>>.
Altre volte deve fare di necessità virtù. <<L\’ultima, per andare alla Dda, ho dovuto prendere un taxi. Ma come? Non c\’è un auto per assicurare la giusta tutela non solo al testimone ma pure alla scorta?>>.
Lo stesso tetimone di giustizia vibonese, già titolare di un istituto di vigilanza finito nel giogo della criminalità organizzata e per questo finito sul lastrico, da tempo conduce una battaglia per migliorare lo status di quanti, vittime delle mafie, hanno avuto fiducia negli apparati dello Stato mettendo nero su bianco le vessazioni e le ancherie subite. <<Una fiducia -spiega Pietro Di Costa- spesso tradita. Fatti salvi alcuni magistrati e alcuni apparati investigativi, è evidente che il sistema non funziona e finchè non ci saranno interventi seri, anche sul fronte legislativo, la fiducia nelle istituzioni sarà scoraggiata anzichè incoraggiata>>.
fonte: Il Quotidiano della Calabria