Ora nella bassa padania, nelle zone di Mantova e Cremona tutti sembrano guardarsi in torno come se l\’aver scoperto il vaso di Pandora trovandoci dentro la \’ndrangheta, fosse piovuta dal cielo! La neve, la pioggia, la grandine cadono dal cielo, mentre la \’ndrangheta non viene giù così improvvisamente in un giorno di maltempo come un tifone o una tempesta (anche se i danni sono anche peggiori) ma la si costruisce, la si organizza con le collusioni tra associati mafiosi e personaggi del luogo, si del luogo non del sud Italia come molti pensano ma con residenti e nativi di queste regioni, collusioni con imprenditori, politici ed avolte come già capitato anche con componenti delle Forze dell\’Ordine che invece di proteggere i cittadini da questo sistema, vi si addentrano e ne diventano parte. Quindi non meravigliatevi, perchè la \’ndrangheta non è cittadina calabrese!
La \’ndrangheta a Mantova: non è piovuta dal cielo
di Claudio Meneghetti
La cosa è chiara: a Mantova esiste una struttura classica di \’ndrangheta che risponde alle direttive di Nicolino Grande Aracri. Questo dato di fatto come dimostrano le indagini in corso, ben documentate dalla Gazzetta, non sono piovute improvvisamente dal cielo.
C\’è una storia criminale, economica e politica che si dipana dalla fine degli anni ottanta sino ai giorni nostri. Una storia di omicidi compiuti tra il crotonese e l\’area padana del nord Italia per definire le zone d\’influenza delle \’ndrine, la spartizione di mercati le cui tabelle merceologiche spaziano a tutto campo: dal sequestro di uno Stradivari a Cremona per passare all\’eroina e poi alla cocaina, le bische clandestine, i sequestri di persona come attività dell\’accumulazione originaria per poi penetrare i mercati più strutturati come quello dell\’edilizia, del commercio e dei nuovi servizi tecnologici.
D\’un tratto quei racconti che ascoltavamo nelle conferenze del festivaletteratura scopriamo oggi che li stavamo vivendo. Non li vedevamo perchè le elites continuavano a spiegarci in modo feticistico storie di imprese che investono e portano ricchezza. Senza distinguere tra imprese cattive e imprese buone condizione per cui l\’impresa criminale veniva oscurata.
La \’ndrangheta anche a Mantova ha avuto la sua fase originaria. Dalla fine degli anni ottanta abbiamo assistito all\’escalation dell\’eroina e tutti quei giovani cittadini vittime di quelle droghe, e gli arrestati erano spesso mantovani con calabresi i cui cognomi dieci anni dopo li ritroveremo attivi negli investimenti “legali”. Agli inizi degli anni novanta incomincia la guerra crotonese per la conquista di Reggio Emilia, Piacenza, Cremona e Mantova.
Una guerra iniziata nel crotonese tra il bidello Antonio Dragone e il suo luogotenente il geometra Nicolino Grande Aracri. Una parte di quei morti sono cittadini mantovani di origine calabrese, di Cutro o Isola capo Rizzuto: Scida, Puca, Tipaldi, Arabia, Simbari quelli che mi vengono in mente o i mantovanissimi Lalli. Quella guerra ha un esito finale con l\’uccisione di Antonio Dragone e Carmine Arena a colpi di bazooka. Il dominio di Grande Aracri è definitivo e quindi il controllo delle filiere della \’ndrangheta tra Reggio Emilia, Cremona e Mantova è predominante. Comincia l\’insediamento vero e proprio. Gli imprenditori della \’ndrangheta incominciano la scalata del nord. Partono con il capitale dell\’accumulazione originaria grodante il sangue dei morti per overdose, dei sequestri e della guerra.
Stiamo parlando di economia. Obiettivo insediarsi a tutto campo: quando scopri che molte famiglie i cui cognomi corrispondono a quelli delle indagini al sud ebbene si prepara da una parte la mano d\’opera ma anche il bacino elettorale. Qualche centinaio di voti possono decidere chi vince e chi perde le elezioni comunali e quindi affari e controllo del territorio. Dal movimento terra all\’edilizia spaziano gli investimenti di Grande Aracri, finanzia i suoi imprenditori e quindi ne controlla i rendimenti e ne esercita i diritti perpetui. Questi investimenti hanno bisogno degli amministratori locali, della politica, delle libere professioni, degli artigiani, delle banche, delle finanziarie, delle agenzie immobiliari, della pubblicità e dei servitori infedeli dello Stato.
Si passa alla conquista del consenso: finanziare squadre di calcio e attività ludiche. Il Mantova, la squadra di calcio, è stato l\’oggetto più bramato dalle \’ndrine. Mentre si costruisce Lagocastello e il Mondadori acquistare la squadra cittadina ha fatto parte della strategia per conquistare la città. Prima ci provano l\’accoppiata Belfanti-Muto, poi Depasquale ed infine Giuseppe Iaquinta. Un plauso va fatto ai dirigenti della squadra per non aver ceduto ai soldi facili delle \’ndrine. A questo punto non ci siamo arrivati solo perchè nel 2011 due imprenditori coraggiosi hanno denunciato l\’attività estorsiva di un proprio socio. Questa è stata l\’occasione che ha permesso di aprire un vaso di Pandora. Oggi abbiamo l\’obbligo di guardare con occhi diversi quanto è successo negli ultimi quindici anni. Cattiva politica e cattiva economia si erano già incontrati in mezza provincia.
In nome degli investimenti edilizi i partiti tradizionali e le amministrazioni non sono andati per il sottile. Coloro che si opponevano a scelte di cementificazione venivano derisi e crocefissi come nemici dell\’impresa. E sarà la buona politica ad aprire un varco, i visionari a Mantova prima e Viadana poi. Prima è intervenuta la buona politica e poi l\’apparato investigativo e repressivo dello Stato. Chi ha sostenuto in modo tanto ideologico gli interessi di queste imprese ha contribuito al radicamento in profondità della \’ndrangheta. Ne ha esteso le capacità di relazione sociale, economica e politica. Chi ha contrastato ha trovato l\’ostilità delle elites politiche tradizionali.
E nella rilettura rientrano le elezioni del 2010 informate dal mantra \’ndranghetista, oggi lo possiamo dire apertamente, degli inesigibili 80 milioni di euro di danni da versare ad Antonio Muto per la lottizzazione Lagocastello. Tema su cui hanno puntato per il discredito pezzi di Pd, il “Patto per Mantova”, oggi “Comunità e Territori”, e tutto il centrodestra. Una potenza di fuoco televisiva che ha richiesto grandi risorse. Non vinse Sodano, vinse la \’ndrangheta: primo sconfiggere chi si è messo di traverso agli investimenti delle \’ndrine e compensare con l\’operzione “Mondadori”. In troppi in questi anni sono stati alla finestra, esporsi non l\’hanno ritenuto salutare per sé. La città di costoro sta solo nella retorica smelensa e politicamente corretta. Dell\’antimafia a 100 passi lasciamo stare, meglio le celebrazioni generaliste. Questa la trama da rileggere emersa in questi giorni. La città non può che ripartire da qui.