Le macchinette dei bar, delle sale giochi, dei casinò e quelle online, strumenti che distruggono la vita di persone e di intere famiglie. La cosa peggiore è che dietro a questo barbaro lucro di denaro c\’è lo Stato che legalizza il gioco d\’azzardo, pubblicizzandolo sui media facendolo passare come una cosa normale mentre è una delle armi peggiori contro la società. Ma chi ci guadagna ancora maggiormente sono le mafie che, e non c\’è tanto da capirne il come, lo fanno nonostante il controllo da parte dello stesso Stato dovrebbe essere più che agguerrito…. purtroppo non è così! Sono i numeri che girano attorno aìl gioco d\’azzardo che fanno riflettere, per il 2013 il giro d\’affari era di circa 23 miliardi di euro, ma \”solo\” poco più di 8 miliardi sono andati all\’erario, ed i restanti 15 miliardi che fine hanno fatto? Buona parte alle mafie…..e lo Stato sta\’ a guardare, lucrando, guadagnando e rovinando famiglie italiane!
Gioco d’azzardo, lo Stato incentiva e le mafie incassano
Slot machine, sale bingo, distribuzione di caffè e corse di cavalli. Ma soprattutto un clan, quello dei Casalesi, che tenta di riorganizzarsi militarmente e non solo. L’operazione della Direzione investigativa antimafia di Napoli che questa mattina ha portato all’arresto di 44 persone, conferma che dopo la disarticolazione dell’ala militare e delle sponde politiche, ad assumere un ruolo centrale nel clan negli ultimi mesi è la famiglia Russo. Tra gli arrestati ci sono infatti Corrado e Raffaele Nicola Russo, fratelli del braccio destro di Francesco “Sandokan” Schiavone, Giuseppe detto Peppe ‘o padrino, arrestato nel 2003 in Germania, dove era latitante, e ora al 41 bis.
Sono 3.200 le macchinette sequestrate in centinaia di locali tra Campania, Lazio e Toscana. E a quanto pare l’investimento delle mafie del settore, oltre che molto redditizio, è funzionale alla costruzione della loro “filiera” criminale. Slot macchine e videolottery – spiega l’ultima relazione della Direzione nazionale antimafia (Dna) – rappresentano «la base finanziaria attraverso cui, per un verso, vengono pagati gli stipendi ai numerosi affiliati detenuti, per altro verso, vengono effettuate attività di reimpiego di capitali». Riciclaggio di denaro proveniente da altre attività illecite, come il traffico di droga, dunque. E anche controllo del territorio attraverso il ricorso a prestanome incensurati (molti dei 44 arrestati oggi lo sono), ai quali affidare la gestione dei locali con le macchinette e delle aziende che le noleggiano.
Il business è incentivato dalla tassazione di favore mantenuta da tutti i governi a partire da Berlusconi, con il pretesto – giudicato infondato alla luce dei fatti dalla stessa Dna (nella relazione 2013) – che favorire il gioco legale avrebbe sottratto terreno al gioco illegale controllato dalle mafie. Queste ultime, invece, si sono buttate nell’affare più di prima, come sempre accade quando la legislazione offre incentivi (vedi le indagini degli anni passati sugli interessi mafiosi nell’eolico). L’inchiesta campana ne è la conferma: il clan Schiavone-Russo aveva il monopolio delle slot machine e dei videopoker nei bar in provincia di Caserta e in molte aree del Napoletano.
I cosiddetti Casalesi sono i primi, come spiega la Dna nella relazione 2013, ad aver «sviluppato adeguate professionalità specializzando, per così dire, alcuni affiliati» e stretto alleanze con imprenditori che hanno fiutato le potenzialità del settore. Lo “specialista” per conto del clan si chiama Mario Iovine, detto Rififì, che dopo essersi fatto le ossa a Modena ha piazzato le sue macchinette in buona parte della Capitale. Ed evidentemente l’arresto e le condanne di Rififì non hanno fermato gli investimenti nel settore, che interessa – e spesso vede alleate – anche ‘ndrangheta e Cosa nostra.
La Guardia di Finanza, primo gruppo di Roma, ha calcolato un fatturato del mercato illegale dell’azzardo che si aggira attorno ai 23 miliardi di euro soltanto per il 2013, mentre lo scorso anno il settore “legale” ha fatto registrare una raccolta complessiva 84,5 miliardi. All’erario il business è fruttato 8,291 miliardi, molto meno che ai clan.