In Assise la deposizione del fratello di Giuseppe Iannicelli ucciso e bruciato con il nipotino di 3 anni e una donna marocchina. «Non sapeva a chi lasciare il piccolo ma pensava che rispettassero il codice: donne e bimbi non si toccano»
Un bimbo ucciso e bruciato. Sulla stessa auto insieme con il nonno, Giuseppe Iannicelli e una ventisettenne marocchina, Betty Taoussa. Il bimbo si chiamava Nicola Campolongo ma tutti, a Cassano, lo conoscevano come “Cocò”. La sua barbara fine ha fatto inorridire il mondo. Tanto da spingere Papa Francesco a scendere in Calabria e “scomunicare” i mafiosi. Tutti i mafiosi, non solo i responsabili del delitto.
Per l’assassinio di “Cocò”, del nonno e della magrebina sono finiti a giudizio Faustino Campilongo e Cosimo Donato, entrambi di Firmo e legati a Iannicelli da rapporti malaffare. Il processo a loro carico è in corso davanti alla Corte di assise di Cosenza, presieduta da Giovanni Garofalo. Ma che si prova e cosa accade nell’ambito di una famiglia quando viene ammazzato un bimbo di appena tre anni? Ecco le parole di Battista Iannicelli, zio della piccola vittima. Parole taglienti come la lama affilata d’una spada. «Donato e Campilongo gli hanno organizzato una trappola. E io volevo fare a loro quello che hanno fatto a mio fratello». L’aula cade avvolta in un silenzio cupo. «Lui non sapeva a chi lasciare il bambino ma pensava che questi rispettassero il vecchio codice della ’ndrangheta: bambini e donne non si toccano!».