C\’è un ostacolo tra i più difficili da superare nel cammino per la lotta alle mafie e si chiama \”omertà\”! È ostico perchè radicato in una cultura mafiosa che, volente o nolente fa parte non solo dei mafiosi ma anche di chi non si macchia di alcun reato ma facente parte di un tessuto sociale che si regge esclusivamente grazie alle mafie! Il baciamano del boss della \’ndragheta Giorgi, catturato nei giorni scorsi dopo 33 anni di latitanza ne è la dimostrazione tangibile, giustificato e celato dietro ad un \”normale\” saluto nei confronti di un vicino qualsiasi ma non solo, le immagini ci fanno vedere un lento passaggio del boss in mano alle Forze dell\’Ordine che poco fanno per evitare quel rispettoso saluto; ovviamente non vogliamo puntare il dito nei loro confronti che anzi, hanno fatto un lavoro di notevole lavoro ed al quale va il nostro plauso, ma forse era evitabile e prevenibile ma certe dinamiche non ci competono e ciò che vogliamo rimarcare è proprio la \”riverenza\” di un paese come quello di San Luca che solo alcuni giorni fa in un servizio del programma \”Le Iene\” i suoi cittadini rimarcavano il fatto che li di \’ndranghetisti non ve ne fosse nemmeno l\’ombra. È questo l\’ostacolo più duro da superare perchè sino a che le nuove generazioni non invertiranno questa tendenza, avremo sempre un sistema mafioso \”tutelato\” e garantito dal peggiore (in questo caso) degli alleati, i cittadini!!!
Nel paese del baciamano al boss. Gli abitanti di San Luca: «Solo affetto, niente ’ndrangheta»
«Ma quello è un parente, perché non doveva salutarlo?». La signora che spazza il cortile proprio davanti al palazzo dove venerdì mattina è stato arrestato il boss Giuseppe Giorgi, dopo 23 anni di latitanza, non riesce a spiegarsi il perché di tanto clamore per il baciamano al mammasantissima fino a ieri tra i cinque criminali più pericolosi di Italia. La pensa così tutto il paese di San Luca. Spiegano che l’uomo ripreso mentre si genuflette davanti al boss è un suo cugino: «Voleva abbracciarlo ma c’era un muretto e il cordone dei carabinieri a dividerli così gli ha allungato le mani e le ha baciate». Un gesto d’affetto, i codici della ‘ndrangheta, dicono, non c’entrano niente. Difficile credergli. Niente qui sembra essere come appare. Dietro le mura senza intonaco di edifici mai finiti si celano tesori, come i 157 mila euro trovati dietro una parete proprio a casa del boss. Quei vicoli stretti di strade polverose sono la pancia della «mamma». Da qui, dopo la stagione dei sequestri, i clan calabresi sono partiti alla conquista di mezzo mondo. È qui che coesistono i due volti della ‘ndrangheta: quello arcaico che brucia santini e si riunisce davanti al Santuario di Polsi e quello 2.0 che tiene le redini del narcotraffico mondiale, compra interi quartieri nel Nord Europa e investe nella finanza. Un paese che ha visto scatenare una faida per un uovo lanciato al ragazzo sbagliato nel Carnevale del 1991. Da lì una lunga scia di sangue che non ha risparmiato donne e bambini ed è culminata nell’eccidio di Duisburg, in Germania, nel Ferragosto del 2007 dove morirono sei giovani. Ogni angolo sembra ricordare il potere dei clan. Anche sulla chiesa, ieri vestita a festa per un matrimonio, aleggia quello spettro. Don Pino Strangio, parroco del paese da vent’anni, è indagato per associazione mafiosa.
Ma a sentire i sanlucoti la storia è tutt’altra: «Siamo perseguitati, sembra che il male sia solo a San Luca». Certo, ammettono, qualcuno delinque «ma se uno è senza lavoro come lo porta il pane a casa?». Per i pochi ragazzi, che si dividono tra il bar e il centro scommesse, e gli anziani seduti sulle panchine davanti al Comune «il colpevole è lo Stato che ci ha abbandonato». Anche il nuovo campo di calcio, appena inaugurato dalla nazionale magistrati, non è servito: «Hanno speso un sacco di soldi ma hanno fatto lavorare ditte di fuori, non è che ci ha portato lavoro». Almeno, ci dice il dirigente della locale squadra di calcio, «il prossimo anno potremo fare la seconda categoria». Un piccolo segnale che però non sembra bastare a ridare fiducia nelle istituzioni. E così domenica prossima i cittadini di San Luca non andranno a votare, nessuno si è candidato. Preferiscono restare con il commissario prefettizio. Pino, che di mestiere come tanti fa il forestale e che porta un cognome «ingombrante», ci dice: «Mi volevo candidare ma se poi il giorno dopo mi sciolgono il Comune perché ho un cugino in galera non ne vale la pena». Così Pino assieme ad altre centinaia di concittadini il mese scorso ha scritto una lettera al ministro dell’Interno Marco Minniti per far confermare alla guida dell’amministrazione il commissario Salvatore Gullì.
Poco distante dal Municipio ci sono la scuola e la stazione dei carabinieri. Forse non è un caso che siano attaccate l’una all’altra, pare si sostengano a vicenda. Ed è proprio a quelle aule che guarda con speranza Deborah Cartisano, referente di Libera per la Locride. Conosce bene il volto sanguinario dei clan locali, nel 1993 suo padre, un fotografo, venne rapito, ma, nonostante il pagamento di un riscatto, non venne mai liberato. Solo dieci anni più tardi una lettera anonima fece ritrovare il cadavere non lontano dal centro di San Luca. Eppure quel luogo di dolore Deborah non l’ha voluto abbandonare: «Qualcosa sta cambiando, assieme alla scuola stiamo portando avanti tante iniziative, pochi giorni fa è venuto don Luigi Ciotti». Ne è convinto anche don Pino De Masi: «Tanto abbiamo fatto, non siamo all’anno zero. Tanti hanno avuto il voltastomaco vedendo quella scena, tanti non pagano il pizzo. Però la strada è ancora in salita. Lo Stato – aggiunge – deve essere presente, oltre che sul versante della repressione anche su quello sociale».