Due soli annullamenti con rinvio decisi dalla Suprema Corte. Per la prima volta viene riconosciuta in via definitiva l’esistenza della cosca egemone nelle Marinate
La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza emessa il 26 aprile dello scorso anno dalla Corte d’Appello di Catanzaro nei confronti degli imputati coinvolti nell’operazione antimafia “Lybra” contro il clan Tripodi di Portosalvo, frazione di Vibo Valentia. Due soli annullamenti con rinvio per un nuovo processo di secondo grado dinanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro, ma per una posizione, quella dell’imputato Massimo Murano, 44 anni, di Busto Arsizio, unicamente per la rideterminazione della pena. In Appello era stato condannato a 3 anni e la Cassazione ha comunque affermato nei suoi confronti la penale responsabilità. L’altro annullamento con rinvio riguarda invece Francesco Lo Bianco, 43 anni, di Portosalvo, che si vede annullare la condanna a due anni e 8 mesi per un nuovo processo d’appello.
Queste le condanne definitive: Nicola Tripodi (69 anni, in foto), 8 anni di carcere; Salvatore Vita, 42 anni, di Vibo Marina, 9 anni di reclusione; Gregorio De Luca, 39 anni, di San Gregorio d’Ippona, 2 anni e 8 mesi; Antonio Tripodi (53 anni, fratello di Nicola), 7 anni e 6 mesi di reclusione; Sante Tripodi (44 anni, altro fratello di Nicola) è stato definitivamente condannato a 6 anni e 8 mesi;
Associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni, frode nelle pubbliche forniture, usura, rapina ed estorsione i reati, a vario titolo, contestati. Nel mirino del clan, che avrebbe esteso i suoi affari anche a Roma ed in Lombardia, ci sarebbero stati anche i lavori del post alluvione del 2006 a Vibo Marina.
La sentenza della Cassazione assume una portata storica dal punto di vista giudiziario perché per la prima volta viene sancita in via definitiva l’esistenza del clan Tripodi di Portosalvo ma egemone anche a Vibo Marina. Una consorteria potente ma per lungo tempo sottovalutata, fondata da Nicola Tripodi che nelle attività illecite è stato coadiuvato dai fratelli Antonio e Sante.
Una consorteria criminale specializzata nel controllo degli appalti pubblici ma – stante lo spessore criminale di Nicola Tripodi – capace in un determinato periodo storico di porsi da “garante” degli equilibri mafiosi in una vasta area del Vibonese, da Pizzo a Cessaniti, passando per Briatico.
Un clan legato inizialmente a doppio-filo ai Mancuso di Limbadi, capace di uscire vincente dalla faida con i Covato di Portosalvo per poi muoversi in perfetta autonomia e divenire negli ultimi anni punto di riferimento criminale persino per il nascente clan dei Piscopisani, pronto ad “omaggiare” il boss Nicola Tripodi – come svelato dal collaboratore di giustizia Raffaele Moscato – in occasione dei suoi rientri da Roma in occasione della festa patronale di Portosalvo.
A Roma i Tripodi avrebbero stretto solide alleanze con i Bonavota di Sant’Onofrio, pure loro presenti nel Lazio, e poi con i Gallace di Guardavalle, operanti fra Anzio e Nettuno, e gli Alvaro di Sinopoli che a Roma sono da sempre di casa.
Nel Vibonese, invece, il clan Tripodi negli ultimi anni (a partire del 2008) con i “Piscopisani” (“famiglie” Battaglia, Fiorillo e Galati). avrebbe costituito un unico “cartello criminale”.
La sentenza con rito abbreviato (valso per gli imputati uno sconto di pena pari ad un terzo) è stata emessa in primo grado il 4 febbraio 2015 dal gup distrettuale di Catanzaro, Domenico Commodaro, mentre il verdetto della Corte d’Appello è arrivato il 26 aprile dello scorso anno. In primo grado il verdetto era stato il seguente: Nicola Tripodi, 8 anni; Sante Tripodi, 4 anni ed 8 mesi; Antonio Tripodi, 7 anni; Salvatore Vita, 9 anni; Gregorio De Luca, 2 anni ed 8 mesi; Massimo Murano, 3 anni, mentre Francesco Lo Bianco in primo grado era stato assolto.
Nel collegio di difesa figuravano gli avvocati Sergio Rotundo, Guido Contestabile, Anselmo Torchia, Domenico Anania e Giuseppe Bagnato.
L’operazione, scattata nel maggio del 2013, era stata coordinata dal pm della Dda di Catanzaro, Pierpaolo Bruni (oggi procuratore capo a Paola), mentre la parte più significativa dell’inchiesta era stata condotta dai carabinieri della Stazione di Vibo Valentia, guidati all’epoca dal luogotenente Nazzareno Lopreiato, e poi dai militari dell’Arma del Nucleo investigativo di Vibo.
In foto dall\’alto in basso: Nicola Tripodi, Salvatore Vita, Antonio Tripodi, Sante Tripodi, il pm Pierpaolo Bruni che ha coordinato l\’operazione e il luogotenente dell\’Arma Nazzareno Lopreiato.