Il Procuratore di Torino Giovanni Bombardieri è stato audito dalla Commissione parlamentare antimafia, la sua è stata una lezione sulla evoluzione delle mafie nel Nord d’Italia ma anche una lezione di democrazia. Che di questi tempi non guasta.

Delle mafie al Nord il Procuratore ha ricordato un dato di partenza ai più ignoto e cioè che la prima volta che la Commissione parlamentare antimafia decise di “visitare” il Piemonte per comprendere meglio cosa stesse accadendo sul piano del condizionamento mafioso dell’economia legale era il 1973 (!) ed ha voluto specificare che allora i segnali d’allarme riguardavano i cantieri del Frejus: infrastrutture, strade ed autostrade. Un punto di partenza molto significativo in considerazione del fatto che purtroppo, molto a lungo, soprattutto certa politica ha sottovalutato se non addirittura negato che in Piemonte le mafie fossero una questione seria.

Nessuno ha dimenticato che quando nel 2008 l’allora presidente della Commissione antimafia Francesco Forgione arrivò in Piemonte e fece suonare l’allarme ‘ndrangheta (tre anni prima che scattasse l’operazione Minotauro) venne considerato quasi alla stregua di un arruffa-popolo, con intenti inspiegabilmente lesivi dell’immagine turisticamente vincente che il Piemonte stava dando di sé. Molto significativo come punto di partenza poi perché una delle più recenti inchieste aperte in Piemonte contro la ‘ndrangheta, denominata Echidna, ha ad oggetto proprio l’ingombrante presenza di aziende in presunto odor di mafia che si occupano di… cantieri autostradali (praticamente gli stessi di allora!). Forse un modo elegante per richiamare la politica piemontese alle proprie responsabilità: chi ha orecchie per intendere, intenda.

Il Procuratore, continuando a richiamare il passato per offrire spunti ineludibili di interpretazione del presente, ha ricordato che nel 1995 alle porte di Torino venivano sequestrate cinque tonnellate di droga pesante e che ancora oggi il narcotraffico resta il principale affare illecito di accumulazione originaria di capitale, che poi viene riversato nell’economia legale anche grazie alla collaborazione criminale di professionisti senza scrupoli. Ma, se queste sono le fondamenta del castello mafioso, allora, ha sottolineato il Procuratore Bombardieri, sono fondamenta profondamente incrinate, che possono sprofondare da un momento all’altro, facendo con ciò riferimento al recente “pentimento” di Pasquino, broker di droga legato agli Assisi, di primissimo piano. Secondo avviso ai naviganti.

Il terzo messaggio “in bottiglia” il Procuratore mi è parso che lo abbia indirizzato al Parlamento nel momento in cui è in discussione la nuova Legge di Bilancio. C’è, ha detto Bombardieri, uno strumento davvero efficace nello sforzo di prevenzione delle infiltrazioni mafiose nella catena di sub appalti che riguardano i cantieri commissionati dagli Enti pubblici ovvero il potere si accesso conferito alle Prefetture che, attraverso i Gruppi investigativi interforze, possono controllare in concreto chi effettivamente (al di là delle documentazioni che sono di norma perfette) stia operando sul terreno, peccato che le risorse a disposizione delle Prefetture siano assolutamente inadeguate. Sarà il caso di preparare un emendamento?

Il quarto messaggio “in bottiglia” il Procuratore mi è sembrato che lo abbia inviato, con grande garbo istituzionale, al governo, quando ha ricordato di come la sua carriera in magistratura fosse iniziata nel 1990 nell’Ufficio gip di Locri: giudice delle indagini preliminari, prima di decidere di passare alla Pubblica accusa. Una esperienza, l’ha definita Bombardieri, molto formativa. Altro che separazione delle carriere! Altro che “Legge Falcone”, come la vorrebbe chiamare l’astuto super commissario Gasparri, mistificando ancora una volta le intenzioni del magistrato siciliano ucciso a Capaci, come ha ben denunciato in un editoriale su La Stampa di qualche giorno fa Gian Carlo Caselli.

Sullo sfondo, soltanto evocata da una domanda posta dalla senatrice Rando (Pd), è rimasta una questione cardinale e cioè quella dei rapporti con la politica. Ma forse su questo punto il Procuratore ai “messaggi in bottiglia” preferisce gli avvisi di garanzia.

Infine ho ascoltato con grande preoccupazione i riferimenti alla caratura criminale di quel pezzo di ‘ndrangheta colpito dalle più recenti indagini, ramificatosi tra Carmagnola, Moncalieri e Nichelino, avendo salde radici nel vibonese. Quel pezzo di ‘ndrangheta che ha avuto un ruolo non secondario nel garantire la latitanza del boss Pasquale Bonavota, considerato dal Viminale il criminale più pericoloso in circolazione dopo Matteo Messina Denaro e finalmente arrestato a Genova, in una chiesa.

Perché, chissà se l’hanno raccontato al Procuratore Bombardieri, da poco arrivato a Torino, uno dei più importanti “pentiti” della ‘ndrangheta del vibonese, Andrea Mantella, giusto un anno fa cominciava un epistolario con uno dei più importanti Testimoni di Giustizia viventi, originario di Serra San Bruno, ma residente a Torino dal 2010, Pino Masciari. Due i “messaggi nella bottiglia” di Mantella a Masciari: io ti stimo, ma la ‘ndrangheta ti vuole morto.

(Davide Mattiello)

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