\"\"Riportiamo un interessante articolo di Nicola Mirenzi pubblicato su Europaquotidiano.it in merito alla presentazione del libro di Andrea Pamparana \”Malacarne Uomini di \’ndrangheta\” (giunto alla IV edizione) che avverrà oggi alle 15,00 presso il Palazzo Graneri della Roccia in via Bogino 9 a Torino.

Chissà cosa stavamo facendo di così interessante mentre la ’ndrangheta diventava l’organizzazione criminale più potente d’Europa.
Parlavamo di riforme istituzionali, probabilmente. O del ponte sullo stretto di Messina. Anche se pure il «non ci sono più le stagioni di una volta» può essere stata una notizia degna d’anticipare il racconto di una società d’affari che s’ingrossa radendo al suolo vitalità e intelligenze. D’altronde, cosa volete che sia un’associazione mafiosa che fattura quarantaquattro miliardi di euro all’anno? Robetta da lasciare in mano a magistrati senza carta per le fotocopie. Se non grilli nella testa di persone che cercano di scacciare «la disperazione peggiore di una società», ovvero «il dubbio che vivere onestamente sia inutile», come scriveva Corrado Alvaro.
È un paradosso post moderno, se vogliamo dirlo alla moda, quello di un fenomeno criminale di tale successo privato di una narrazione che sia una. La ’ndrangheta infatti non è come la camorra o la mafia siciliana – il cinema, la letteratura, il giornalismo (nella sua gran parte) non hanno mai cercato (quindi nemmeno trovato) l’alfabeto emotivo e razionale per nominarla davanti al grande pubblico. Ma se nessuno sa, nessuno avrà nemmeno il dubbio che sia bene evitarla. Per questo
Malacarne. Uomini di ’ndrangheta (Tropea Editore, 255 pp.,16,50 euro) di Andrea Pamparana è un libro intelligente, di quell’intelligenza che conosce soprattutto i limiti delle cose e prova a rimediarvi. In questo caso tentando di colmare la lacuna più dolorosa in cui vive e vegeta la ’ndrangheta: l’assenza di racconti, di storie dentro cui le persone possano vedersi private – tutte – di libertà e giustizia, indipendentemente dal fatto che vivano a San Luca o nelle valli bergamasche.
Il libro è scritto utilizzando fonti della polizia di stato e le relazioni della direzione centrale dei servizi antidroga (e molte altre ancora).
Tutti materiali seri e attendibili, rielaborati dentro una narrazione che assomiglia, per scioltezza, alla sceneggiatura di un film. E mostra, quasi fosse una telecamera, i percorsi che portano la cocaina dal sud America fino all’Europa.
Sbagliata, secondo noi, è solo l’affermazione che «la ’ndrangheta è come al-Qaeda». Fosse stato così, anche il più piccolo degli starnuti ’ndranghetisti sarebbe finito in prima pagina, come succede con quelli dei fondamentalisti: e noi non saremmo qui a parlare, appunto, di distrazione.

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