di Enrico Fierro e Lucio Musolino
Andavano in fila, spioni, politici e candidati a rendere omaggio a Peppe Pelle, figlio e erede incontrastato di ‘Ntoni Pelle, detto Gambazza. Stiamo parlando di ‘ndrangheta alta, quella che comanda a San Luca e nella Jonica, ma che sa dettare legge anche nei palazzi della politica. Tutti dal figlio del mammasantissima, perché la novità è questa: in Calabria non sono più i boss che si rivolgono alla politica, ma i politici che chiedono aiuto e sostegno elettorale ai capi della ‘ndrangheta. E lo fanno con deferenza, sapendo che il consenso, quello vero, è nelle loro mani. “Vediamo se possiamo trovare un accordo, se ci sono le condizioni. Se io faccio una straordinaria affermazione elettorale per arrivare sicuramente nei primi tre…”.
E’ il 27 febbraio 2010 e Santi Zappalà sta per fare il grande salto alla Regione. Medico, dal 2001 sindaco di Bagnara Calabra, consigliere provinciale di Reggio Calabria, è finalmente candidato. La destra ha la strada spianata dopo il fallimento del centrosinistra. All’orizzonte si affaccia Peppe Scopelliti, sindaco di Reggio, che si presenta col volto del rinnovatore. Zappalà è uno dei suoi fedelissimi e si piazza nelle prime file della lista Pdl. Sapendo che in Calabria i voti si conquistano facendo le visite giuste. Quella in via Borrello a Bovalino, dove vive Giuseppe Pelle, è una meta obbligata. Chiede appoggio Zappalà. Il figlio del grande boss ascolta, valuta, pesa le parole. “Da parte nostra, dottore, ci sarà il massimo impegno”. Zappalà è contento, “lo so”, replica.
Ma ci sono alcune condizioni. Le detta un imprenditore che ha accompagnato il futuro onorevole a casa di Pelle. “Quando sposo una causa – dice l’uomo – e quindi io e gli amici miei diamo il massimo, nello stesso tempo noi desidereremmo avere quell’attenzione per come poi ce la accattiviamo, per simpatia ma per amicizia prima di tutto”.
Tutti amici, tutti insieme appassionatamente, politici e mafiosi. Pelle chiede al futuro onorevole Zappalà l’interessamento per trasferire il fratello Salvatore dal carcere di Rebibbia, “un avvicinamento”. Zappalà fa presente che la situazione è cambiata, l’imprenditore che lo ha accompagnato ricorda i tempi belli quando le carceri erano hotel a cinque stelle per i boss. “Fino al 1991 entravano pranzi interi dentro le carceri. Dal ’92 in pi è cambiato tutto”. Secondo gli investigatori del Ros, Santi Zappalà ha avuto più di un incontro con Pelle, al quale ha anche raccontato come è nata la sua candidatura.
“Alberto mi ha voluto, è lui che mi ha imposto”. Alberto è Sarra, ex dirigente di An, oggi sottosegretario alla presidenza della Regione.
Sempre i Ros in un’altra inchiesta lo ritengono punto di riferimento della famiglia Lampada di Milano, in pratica i riciclatori del patrimonio del superboss Pasquale Condello. “Io con Alberto Sarra – continua Zappalà – ho una vecchissima amicizia, Alberto è molto vicino ad Antonio Bonfiglio che è il sottosegretario alle Politiche Agricole, in pratica è mio fratello”. Tutti fratelli e tutti contenti di appoggiare Santi Zappalà, che arriva in Consiglio regionale con 11052 voti, secondo degli eletti nella lista Pdl. Un boom. “E se voi ritenete opportuno aiutarci, d’accordo?”. Il boss Pelle: “Tranquillo, dottore, qui si parla di amicizia”. Voti e mafia, inchieste, misteri e polemiche. Nella richiesta di arresto della Procura reggina a carico del capitano Saverio Tracuzzi della Dia, accusato di essere pappa e ciccia con la famiglia mafiosa dei Lo Giudice, spunta una rimessa di barche gestita da un presunto prestanome della ‘ndrangheta. Un maresciallo dei carabinieri annota che lì attraccano alcuni magistrati, tra questi anche un generico giudice Macrì. Vincenzo Macrì, per anni alla Dna, oggi procuratore generale di Ancona, parla di “falsità grossolane e indecorose che non avrebbero dovuto trovare ingresso nel documento. Non ho mai posseduto barche, mi riservo ogni forma di tutela contro chi ha diffuso tale falsità”. Ancora più dura la reazione del dottor Carlo Macrì, oggi procuratore dei minori: “ Non ho mai posseduto una barca. Denuncio che la falsità di questo dato poteva essere accertata in poche ore con i potenti mezzi di cui dispone la Dda di Reggio Calabria”.
da Il Fatto quotidiano del 21 dicembre 2010