di Gaetano Liardo (Libera Informazione)
Il 2010 in Calabria si è concluso con i “botti”. Con le ultime operazioni gli inquirenti hanno preso di mira i rapporti tra politica e \’ndrangheta. Legami stretti e consolidati che minano la credibilità della classe politica calabrese. Tre operazioni e una condanna in primo grado. Tutto a dicembre. Il 14 è stato fermato l\’ex sindaco di Siderno e candidato alle elezioni regionali, Alessandro Figliomeni. Gli inquirenti l\’accusano di rivestire il ruolo di “Santista” all\’interno dell\’organizzazione criminale. Il giorno successivo cinque avvisi di garanzia hanno coinvolto altrettanti politici. Tre di questi, Luciano Racco, Cosimo Cherubino, Pietro Crinò, erano candidati alle elezioni regionali del marzo 2010. L\’accusa: voto di scambio, concorso esterno in associazione mafiosa e associazione mafiosa.
In entrambe le operazioni, “Recupero” e “Bene Comune”, spiccava il ruolo di Giuseppe Commisso, il Mastro. Il boss di Siderno, secondo i magistrati reggini è: «Capace non solo di favorire l\’esito elettorale, bensì di distruggere, sul piano politico, qualsiasi avversario». Un ruolo non dissimile da quello svolto da Giuseppe Pelle, boss di San Luca. Con l\’operazione “Reale 3” il 21 dicembre altri cinque politici finiscono nel mirino degli investigatori. L\’accusa è di associazione mafiosa e corruzione elettorale.
Sono coinvolti il consigliere regionale Santi Zappalà, ex sindaco di Bagnara Calabra, e i candidati non eletti: Antonio Manti, Pietro Nucera, Liliana Aiello e Francesco Iaria. Per gli inquirenti avrebbero chiesto l\’appoggio elettorale a Pelle in cambio di favori alle imprese legate al boss. Infine, il 22 dicembre la condanna a 11 anni e 3 mesi a Domenico Crea, ex vicepresidente della Giunta Regionale, arrestato nel 2008 nel corso dell\’operazione “Onorata Sanità”.
Politici appoggiati dalla \’ndrangheta, o che cercano direttamente l\’aiuto dei boss. «Cadono le braccia – ha commentato il procuratore Giuseppe Pignatone in una recente intervista al Sole 24 Ore – sentire che è il boss ad essere cercato dagli altri, da candidati politici, amministratori locali, professionisti, questo è sconvolgente». Non sono mancate reazioni anche dal mondo politico. Angela Napoli, parlamentare calabrese di Fli e componente della Commissione Antimafia, ha formulato un\’interpellanza urgente al Presidente del Consiglio e al Ministro degli Interni lo scorso 23 dicembre. «L\’infiltrazione della \’ndrangheta negli apparati delle amministrazioni pubbliche rappresenta, oramai, una certezza consolidata, frutto di lunghe e complesse indagini che hanno permesso di verificare la commistione tra le cosche calabresi e la politica», si legge. La Napoli conclude chiedendo se l\’esecutivo ritenga: «Necessario ed urgente avviare le procedure previste dall\’articolo 126 della Costituzione della Repubblica Italiana per verificare se sussistono gli elementi utili allo scioglimento del Consiglio Regionale della Calabria».
Una forte presa di posizione che punta il dito direttamente contro i politici calabresi. Affermazioni che, tuttavia, non suonano nuove. Già prima delle elezioni regionali dello scorso marzo l\’onorevole Napoli aveva denunciato l\’ingerenza delle \’ndrine nella scelta dei candidati. Dichiarazioni che infastidirono i boss al punto che fu scoperto, e sventato, un piano per l\’uccisione della parlamentare.
Resta in Calabria, ma non solo in Calabria, il problema di una classe politica sempre più subordinata alle mafie. Legata ai boss tutt\’oggi capaci di influenzare il voto. Politici incapaci di reagire al malaffare, essendone spesso parte integrante.