È semplice, non c\’è bisogno di perdersi in giochi di parole, in questo paese per i mafiosi un posto di lavoro c\’è sempre, mentre per chi fa fatica a trovarlo, a chi con mille raggiri viene promesso, il lavoro è pura utopia, è un\’illusione che calpesta e cancella ogni \”barlume\” di dignità lavorativa e sociale. In questo paese se sei onesto e dedito alle leggi che lo Stato impone, spesso, troppo spesso è lo stesso Stato a venir meno ai tuoi diritti ed ancor meno ai suoi doveri. Un condannato per associazione mafiosa viene ASSUNTO dall\’Avis come autista, non come volontario ma come dipendente con tanto di stipendio! Assurdo??? No per niente, non è il primo caso nè tantomeno l\’ultimo, le leggi lo permettono, come permetterebbero ai Testimoni di Giustizia il loro reinserimento nel mondo lavorativo, solo che ai primi il lavoro viene dato mentre a quest\’ultimi, ULTIMI nel vero senso della parola, ogni promessa, ogni impegno, ogni diritto, vengono quotidianamente disattesi. Per cui di cosa vogliamo parlare, di Giustizia? Di Legalità? Di Lavoro? Per gli onesti tutto questo non esiste!!!

 

Assunto come autista dall’Avis dopo la condanna per mafia

I volontari: “Licenziatelo”. La presidente: “Non possiamo, è stato sospeso”

Alla luce del sole uomo irreprensibile. A tal punto da diventare autista fisso delle autoemoteche dell’Avis, che accolgono migliaia di donatori di sangue nelle piazze di Torino e provincia. Dicono oggi di lui: «Lavoratore indefesso, puntuale. Mai un errore. Affidabile». Ma nella camera oscura di questa esistenza, solo in apparenza specchiata, Vito Pollifroni, 45 anni, nato a Locri e domiciliato a Nichelino, ha nascosto un segreto e una storia parallela: quella di un uomo della ’ndrangheta. Di un affiliato a tutto tondo. Ora i volontari dell’Avis ne chiedono il licenziamento in tronco, cosa non ancora avvenuta a 9 mesi dal suo arresto e dalla relativa carcerazione. 

PROFILO CRIMINALE

Il 13 maggio 2016 i carabinieri del Nucleo investigativo lo ammanettano in esecuzione della sentenza del maxi-processo Minotauro. La Cassazione lo ha condannato a 5 anni e 6 mesi per mafia. Era stato fermato nel blitz del 2011, tradito dall’asset familiare (sia il padre Rocco, che il fratello Bruno sono stati arrestati per mafia), ma soprattutto dalle intercettazioni del genitore. Che a maggio 2009 si reca a Siderno a parlare con uno dei capi assoluti della ’ndrangheta: Giuseppe Commisso, detto «U Mastru».  

Vito e Rocco sono entrati nel «locale» (struttura di base) di ‘ndrangheta di Rivoli, che però è sospeso. Il padre ne chiede la riapertura: «Da un paio di mesi i miei figli sono fermi, cosi, accantonati là» dice al mammasantissima. È la fine.  

L’ASSUNZIONE ALL’AVIS

Il 18 settembre 2012 Pollifroni esce dal carcere e cerca lavoro in attesa di sentenza definitiva. Intanto viene condannato in primo grado il 22 novembre 2013 e in Appello il 28 maggio 2015. È proprio in questo periodo che inizia a lavorare per Avis: «È stato assunto nel 2015 – spiega il direttore del personale, Stefano Ferrini –. Prima solo a chiamata e poi, parlando tutti di lui in modo eccellente, lo abbiamo regolarizzato. Ha prestato servizio altri 7 mesi fino a maggio 2016». Stipendiato. In quella data viene di nuovo arrestato e la sua doppia vita si sbriciola sui giornali: nome, cognome età. Tutti, allora, lo riconoscono. È l’esempio plastico di quel mimetismo mafioso di cui a lungo hanno parlato i pm di Minotauro, Roberto Sparagna e Monica Abbatecola.  

I volontari Avis si indignano e scrivono alla presidente: «Esprimiamo la più ferma dissociazione e condanna rispetto ai fatti che coinvolgono penalmente il Vostro dipendente giacché rappresentano quanto di più lontano dai valori di legalità, giustizia, solidarietà umana dell’associazione. Non corretta ci pare altresì – aggiungono – la condotta di chi, anche venuto a conoscenza della condanna definitiva, sta ancora valutando di intraprendere iniziative disciplinari». Una rivolta interna insomma «per chiederne il licenziamento in tronco». Finora invano. 

LA REPLICA DEI VOLONTARI

«La sua posizione – racconta la presidente dell’Avis Intercomunale Colombo, Paola Bertone – mi risulta congelata. Abbiamo chiesto il licenziamento, ma il consulente del lavoro ci ha spiegato che il rapporto non si può interrompere. Spiace per la leggerezza che sicuramente c’è stata da parte di chi ne ha selezionato il curriculum». Leggerezza dunque. Eppure il direttore del personale Ferrini puntualizza: «Quando questo signore ha presentato domanda, non ha riferito di carichi pendenti e non avremmo avuto modo di controllare l’esistenza di una condanna d’Appello per ’ndrangheta». Resta, sullo sfondo, una potenziale beffa. Non essendo stato licenziato ma solo sospeso, Pollifroni potrebbe essere reintegrato quando avrà terminato il periodo di detenzione (mancano 3 anni). «Faremo di tutto perché ciò non accada», dice la presidente. Senza più leggerezze.  

lastampa.it

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