E\’ ormai emergenza democratica. La \’ndrangheta è padrona del nostro Paese: da Milano a Roma, da Reggio Calabria a Torino, il potere mafioso tiene sotto scacco l\’economia e la politica. Tutto passa dalle mani del boss calabresi. Da Milano a Roma, a stringere patti con loro sono politici di destra e sinistra, imprenditori e logge massoniche. Un groviglio di malaffare nauseante che condiziona la nostra vita più di quanto la gente effettivamente riesca a percepire.
La nostra democrazia è profondamente malata: le sue radici sono contaminate dal veleno dell\’illegalità e della violenza. Non c\’è tempo da perdere: dobbiamo reagire con grande forza. L\’apparato repressivo funziona davvero bene mentre è ancora troppo debole la risposta delle masse. Non basta, anche se è importante, manifestare una volta all\’anno e limitarsi alla presentazione di libri per dar vita ad una continua azione antimafia. Servono denunce contro il racket dell\’estorsioni per smantellare il potere criminale.
Abbiamo bisogno di un\’antimafia militante, concreta, che attacchi socialmente il sistema mafioso di controllo del territorio. Noi dobbiamo avere il coraggio di scegliere da che parte stare: o si è con la libertà oppure con il malaffare. O si è uomini oppure servi di questi criminali.
Noi abbiamo scelto da tempo, assumendoci la responsabilità di essere fin in fondo PADRONI DELLE NOSTRE VITE.
ITALIA, WE CARE
_______________
Fonte: Il Fatto Quotidiano – Anche nel Lazio la politica cena con la mafia. Il consigliere Udc Raffaele D\’Ambrosio e i rapporti con massoneria e \’ndrangheta. Uomini della potente cosca Tripodi hanno partecipato alla campagna elettorale del candidato di centrosinistra
‘Ndrangheta e politica. Non c’è solo la regione Lombardia, negli interessi politici dei clan di Vibo Valentia, perché un posto di primo piano ce l’ha anche la regione Lazio. E sin dalle elezioni regionali del 2010. A sostenere la campagna elettorale di Raffaele d’Ambrosio, poi eletto nell’Udc, e nominato vice presidente del Consiglio regionale, c’era il massone Paolo Coraci, indagato dalla procura di Catanzaro per concorso esterno in associazione mafiosa.
Ma c’è di più. Al Fatto Quotidiano risulta che alle cene, organizzate nella campagna elettorale di d’Ambrosio, ha partecipato anche Francesco Comerci – messinese come Coraci – anch’egli indagato, sempre dalla Dda di Catanzaro, coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Borrelli. Comerci è accusato di associazione mafiosa: secondo gli inquirenti è parte attiva nel clan Tripodi, un’articolazione della cosca Mancuso, per il quale svolge il ruolo di prestanome nell’impresa Edil Sud. La lista degli invitati, al ristorante Squisito di Roma, prevedeva la presenza di Marika Tripodi, figlia del boss Nicola, anch’ella indagata per associazione mafiosa dalla procura di Catanzaro.
Al Fatto Quotidiano, però, risulta un ulteriore dettaglio: a elezione avvenuta, gli appuntamenti tra Coraci e d’Ambrosio, non sono terminati. Anzi: i due si sono incontrati nuovamente. Il punto è che Coraci è il personaggio chiave dell’inchiesta condotta dal pm Pierpaolo Bruni che, nei giorni scorsi, ha perquisito nove persone tra Sicilia, Calabria, Lazio e Lombardia. Un’inchiesta complessa, quella di Bruni, che sta disegnando una mappatura di potere occulto, ramificata tra il Lazio e la Lombardia, che unisce la ‘ndrangheta di Vibo Valentia alla massoneria. Coraci è infatti il gran maestro di una loggia romana ispirata, secondo l’accusa, da un altro massone di vecchia data: Angelo Fiaccabrino che, negli anni Novanta, fu prima accusato, e poi assolto, per i suoi rapporti con Cosa Nostra.
Bruni è convinto che Coraci – congiuntamente a Nicola Tripodi e Francesco Comerci – abbia usato la Edil Sud “per il conseguimento delle finalità illecite della cosca di riferimento, attraverso operazioni societarie e finanziarie”. Il massone siciliano, però, s’interessa anche di politica. Ispirandosi a don Luigi Sturzo fonda un’associazione: “Liberi e Forti”. Ed è proprio con questa associazione che decide di sostenere Raffaele d’Ambrosio nelle elezioni del 2010. Non è detto che d’Ambrosio sapesse della stretta vicinanza tra Coraci e il clan Tripodi. Anzi: può ben essere che d’Ambrosio, in quella campagna elettorale, lo ignorasse.
L’inchiesta di Bruni – nella quale d’Ambrosio non è indagato – si sta concentrando sugli affari della Edil Sud (e altre società radicate in Lombardia), sul mix di ‘ndrangheta e massoneria (la loggia di Coraci ispirata da Fiaccabrino) e i loro rapporti con le istituzioni. Di certo, però, c’è che uomini legati al clan Tripodi hanno partecipato alla campagna elettorale di d’Ambrosio. E Coraci, in questa storia, va inquadrato in tutti i suoi ruoli. Accusato di concorso in associazione mafiosa, con il clan vibonese, è anche il gran maestro di una loggia massonica, nonché il fondatore dell’associazione Liberi e Forti che sostiene pubblicamente il candidato Udc. C’è un ultimo ruolo, non secondario, nelle mille vite parallele di Coraci, ben rappresentate dal suo appartamento in via Umbria: doppio ingresso, da un lato l’accesso alla loggia, dall’altro, quello della Sicomoro consulting: il gran maestro è anche un imprenditore nel ramo della consulenza finanziaria. Con il pallino delle energie rinnovabili. È quest’uomo che attovaglia decine di ospiti alle cene elettorali di d’Ambrosio. Che ne cura in diverse occasioni la campagna per le regionali del 2010. Un uomo che – stando alle accuse del pm Bruni – era la cerniera tra la ‘ndrangheta del clan Tripodi di Vibo Valentia e la massoneria. Una persona capace di tentare questo strano affare: acquistare per 16 milioni di euro, dalla Fintecna, un appartamento in via Giulia a Roma.
Piccolo dettaglio: secondo l’accusa, Coraci, non vuole figurare in prima persona, quindi chiede alla Edil Sud – riconducibile al clan Tripodi – di intestarsi l’appartamento. In cambio, il massone vicino all’Udc, offre alla Edil Sud i lavori di manutenzione. L’affare non va in porto. Ma è chiaro il suo rapporto con il boss della ‘ndrangheta. Un rapporto che cura anche nella primavera del 2010, quando si preoccupa della campagna elettorale di d’Ambrosio e gli porta a cena Francesco Comerci, ritenuto da Bruni parte integrante del clan. È una data importante: quella sera, la ‘ndrangheta di Vibo Valentia, siede a tavola con la politica che conta. Quella romana. Grazie a Coraci il clan era arrivato fin lì. E non è poco.