È ormai all\’ordine del giorno che in Calabria si sequestrino dei beni a boss della \’ndrangheta, che si effettuino scioglimenti di Comuni per infiltrazioni mafiose, che si arrestino politici collusi con la \’ndrangheta. Il tutto accade sotto gli occhi di tutti senza che niente o poco si faccia. Cosa deve ancora accadere perchè ci si renda conto di tutto questo?
\’Ndrangheta, 23 fermi nel Vibonese: coinvolti anche politici locali
Nell\’ambito dell\’indagine che sta coinvolgendo il comune vibonese di Briatico, sono state eseguite numerose perquisizioni nei confronti di soggetti diversi dai fermati, ma coinvolti dalle indagini, della municipalità calabrese, poi sciolto per mafia nel 2012; a riguardo dello stesso contesto sono stati inoltre documentati propositi di ritorsione, attuati, nel 2011, con una lettera minatoria, contro un giornalista molto noto in provincia, autore di articoli sulla mala gestione del municipio briaticese. Nel corso dell\’attività, supportata da intercettazioni telefoniche, ambientali e video riprese, sono state sequestrate diverse armi da fuoco e, nel 2014, sono stati tratti in arresto, in flagranza di reato, alcuni elementi di spicco delle cosche locali, in procinto di compiere un attentato con un potente ordigno esplosivo. Durante le fasi dell\’operazione, si è proceduto al sequestro, ai sensi della normativa antimafia, di beni mobili ed immobili riferibili agli indagati per un valore di circa 70 milioni. Tra i beni sequestrati oltre 100 immobili, quote societarie e rapporti bancari ed anche 2 villaggi vacanze e tre compagnie di navigazione con altrettante motonavi che assicuravano, in regime di sostanziale monopolio, i collegamenti turistici con le isole Eolie.
E\’ scaturita dalle intercettazioni ambientali effettuate nel quartier generale del boss Pantaleone Mancuso, capo dell\’omonimo clan della \’ndrangheta, ubicato in un esercizio commerciale, l\’operazione \”Costa Pulita\”, eseguita nelle prime ore della mattinata da uomini di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza nelle province di Vibo Valentia, Cosenza, Como, Monza. Gli inquirenti hanno tenuto sotto controllo i movimenti intorno al locale in cui il boss incontrava i suoi referenti.
Ventitré le persone fermate su disposizione della Procura Distrettuale della Repubblica di Catanzaro. Associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, intestazione fittizia di beni, detenzione e porto illegale di armi ed esplosivo i reati contestati. Le indagini, avviate nei primi mesi del 2013, hanno riguardato personaggi appartenenti o comunque contigui al potente clan della \’ndrangheta guidato dalla famiglia Mancuso di Limbadi, operante in tutto il territorio vibonese, ed alle famiglie Accorinti, La Rosa ed Il Grande, attive nei comuni del litorale tirrenico della provincia vibonese. L\’indagine ha lambito contesti politici locali, in particolare di passate Amministrazioni del Comune di Briatico e Parghelia.
Il giornalista nel mirino del clan Mancuso di Limbadi è Pietro Comito, oggi dipendente dell\’emittente televisiva \”LaC\” di Vibo Valentia, che attiro\’ le ire della cosca per una serie di articoli, scritti a suo tempo per il quotidiano \”Calabria Ora\”, sul comune di Briatico, successivamente commissariato per infiltrazioni mafiose. Gli inquirenti ritengono di aver individuato i responsabili delle intimidazioni subite dal giornalista, che sarebbero fra i destinatari dei provvedimenti di fermo disposti dalla Dda ed eseguiti stamane. Comito denuncio\’ malversazioni e continguita\’ fra gli amministratori dell\’epoca e i clan della \’ndrangheta della zona e ricevette una lettera anonima con gravi minacce di morte. L\’episodio indusse l\’allora prefetto di Vibo Valentia, Luisa Latella, oggi prefetto di Catanzaro, a disporre a tutela del cronista un servizio di protezione. Ma secondo quanto sarebbe emerso dall\’inchiesta sfociata oggi nei 22 fermi eseguiti da Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza, a riprova dei propositi di vendetta dei clan ci sarebbero anche intercettazioni. Comito e\’ stato redattore del \”Quotidiano della Calabria\” e \”Calabria Ora\”, oltre che direttore de \”La C\”.
C\’e\’ anche l\’ex vice sindaco del Comune di Parghelia, Francesco Crigna, 46 anni, fra gli indagati a piede libero nell\’ambito dell\’operazione \”Costa Pulita\”, sfociata stamani nei fermi eseguiti da Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia. Crigna, secondo la Dda di Catanzaro, sarebbe stato \”in stretto contatto con esponenti della famiglia Il Grande, referenti, in quel comune, della potente cosca Mancuso\”. Secondo gli inquirenti, le imprese edili e di movimento terra facenti capo alla famiglia mafiosa, dopo l\’alluvione che ha colpito il piccolo centro del Vibonese nel febbraio-marzo 2011 sono state affidatarie, \”in via quasi esclusiva\”, di una serie di lavori per il ripristino di strade e dell\’alveo di torrenti, spesso indebitamente assegnati con una procedura di \”somma urgenza\” che permetteva alla discrezionalita\’ di quel Comune la scelta della ditta cui assegnare i lavori. Nel corso delle indagini sarebbe anche emerso che l\’amministratore pubblico avrebbe falsamente attestato, in favore di un componente della famiglia Il Grande, il possesso dei requisiti necessari alla assegnazione di un alloggio da parte dell\’Aterp di Vibo Valentia. In cambio dei favori ricevuti, il clan avrebbe assunto l\’impegno di reperire voti a favore dell\’amministratore pubblico e di altri suoi alleati politici in occasione di consultazioni elettorali.
– Nel suo quartier generale, un bar di Nicotera Marina (Vibo Valentia), Mancuso, 55 anni, detto \”Luni Scarpuni\”, sottoposto in quel periodo al regime della sorveglianza speciale pianificava una ampia gamma di attivita\’ delittuose, \”esercitando – scrivono gli inquirenti – una pervasiva e soffocante azione di condizionamento dell\’economia della zona costiera, comprendente rinomati luoghi d\’interesse turistico\” e riceveva \”una vasta schiera di criminali a capo di altre, subordinate, articolazioni della consorteria mafiosa\”, ma anche \”imprenditori che gli si rivolgevano per il classico pagamento del \”pizzo\” o, per converso, per concordare modi e tempi della conduzione di importanti affari che la sua potente famiglia mafiosa finiva cosi\’ per controllare\”. Monitorando, attraverso intercettazioni ambientali, il locale, sarebbe stato, cosi\’ possibile accertare, tra l\’altro, la presenza della \’ndrangheta dietro al business delle minicrociere. Parallelamente sarebbe stata fatta piena luce su alcuni danneggiamenti compiuti in danno di esercenti e privati cittadini per assumere il controllo, in regime di monopolio, del trasporto marittimo \”Tropea-Isole Eolie\” e di villaggi turistici della costa, oltre che per convogliare lavori pubblici e privati verso ditte collegate al sodalizio. A margine di cio\’ sarebbe emersa, da un lato, l\’intenzione di Mancuso di eliminare fisicamente uomini e gruppi antagonisti, percepiti come ostacoli all\’affermazione del predominio criminale della cosca, dall\’altro, \”il delinearsi di una strategia di rafforzamento della famiglia Mancuso e di riavvicinamento dei vari appartenenti, che risultano essere referenti di altrettanti gruppi familiari, dediti a diverse attivita\’ delittuose, nelle proprie zone d\’influenza, sotto l\’egida della famiglia Mancuso\”.