di Elena Tartaglione (tratto da il quotidiano Aosta Sera) – foto della fotoreporter e giornalista freelance Silvia Berruto
L’associazione Libera della Valle d’Aosta ha invitato l\’’imprenditore calabrese simbolo della lotta alle mafie ha incontrato molti studenti e ha presentato al pubblico il proprio libro “Organizzare il coraggio” ad Aosta.
“Perché devo parlare sempre della mia storia? Perché l’Italia non è un Paese normale, io sono la normalità del Paese”. Pino Masciari gira l’Italia per raccontare la sua odissea di testimone, dal ’97 inserito in un programma di protezione speciale per non avere voluto sottostare al ricatto della ‘ndrangheta. Ha rifiutato più volte la proposta di diventare parlamentare, italiano ed europeo, non ha voluto neppure una poltrona in qualche consiglio regionale. Basterebbe già questo a qualificarlo come differente.
Mercoledì, Pino Masciari, su invito di Libera Valle d’Aosta, ha incontrato i ragazzi delle classi delle scuole medie del Villair di Quart e di alcune classi delle Magistrali di Aosta, e in serata ha presentato alla popolazione il libro scritto con la moglie “Organizzare il coraggio”, alla libreria Aubert. Qui, con gli occhi lucidi, ha accettato di ripercorrere ancora una volta la cronologia degli avvenimenti che lo hanno trasformato da imprenditore di successo del settore edilizio, proprietario di una fiorente azienda, a uomo in esilio, costretto a cambiare città continuamente, e in perenne lotta contro le contraddizioni dello Stato parzialmente colluso, e, infine, il simbolo della lotta alle mafie ed eroe riconosciuto della società civile.
Dodici anni in fuga
“Li ho fatti condannare tutti, tranne quelli che si sono ammazzati tra loro. Ho fatto nomi e cognomi importanti, in Calabria, i boss della fascia ionica, del reggino, della locride” ha sottolineato. “Sono fiero di ciò che ho fatto, lo rifarei, ma ho sofferto moltissimo, e anche la mia famiglia ha pagato un prezzo molto alto. Inoltre ho chiuso l’azienda e licenziato 200 persone”. Forse non è un Paese per onesti. Pino Masciari ha semplicemente deciso di non pagare il pizzo e di fare i nomi di chi lo ha minacciato. Come testimone di giustizia aveva diritto a un programma di protezione, perché la sua vita, e quella dei suoi parenti, era in grave pericolo. Da un giorno all’altro, nel ’97, Pino Masciari, sua moglie e i loro due bambini piccoli sono spariti, senza dare neppure una spiegazione ai parenti. In seguito hanno girato sotto falso nome il nord Italia, cambiando città ogni 4-5 mesi, per dodici anni. “I miei figli sono cresciuti in casa, senza correre, andare in bicicletta, ricevere amici, scrivere lettere. Nel 2007, dopo dieci anni di esilio, sono riuscito a passare due giorni con mia madre e i miei fratelli. Ho dovuto penare moltissimo per riuscire ad andare al funerale di mia mamma, me lo volevano impedire”. Difficile commentare adeguatamente alcuni passaggi del suo racconto, che ha dell’incredibile. Senza documenti, senza protezione, Pino e sua moglie si sono trovati in grande difficoltà. Andare a scuola, lavorare, fare delle visite mediche, perfino andare al catechismo è stato molto problematico. Il sistema di protezione era gravemente carente. I figli talvolta sono stati iscritti a scuola con i loro veri nomi, così come nome e cognome di Pino Masciari sono stati utilizzati per prenotare delle stanze d’albergo. Eppure l’imprenditore calabrese non ha perso una seduta, neppure quando gli è stata sospesa la protezione con una revoca, poi ritirata su ricorso, o quando è stato accompagnato con veicoli non blindati e con la targa della località protetta.
Vittima delle collusioni tra mafia e politica.
“La ‘ndrangheta non esisteva ancora quando tutto è cominciato, è nata dopo i fatti di Duisburg e l’omicidio di Fortugno, che hanno richiamato l’attenzione sulla Calabria” ha concluso. “A rovinarmi la vita è stato un sistema politico e istituzionale che fa affari con la mafia, un meccanismo infernale e omicida. Hanno punito me per educare altri duecentomila imprenditori, e insegnare loro a chinare la testa. Da un lato c’erano i delinquenti che venivano in cantiere a chiedere il pizzo del 3 per cento, che mi sabotavano gli automezzi e mi piazzavano bombe in macchina, dall’altro c’era il magistrato che mi chiedeva il 6%, oppure il dipendente che mi strappava i documenti in faccia, con disprezzo. Quando sono andato per la prima volta dai Carabinieri a dire che il racket mi aveva preso di mira mi hanno risposto: “Eh beh? Paghi, come tutti gli altri, se non vuole rischiare la vita”. Ho trovato anche molte persone oneste, che si sono interessate al caso e mi hanno aiutato molto. Ma mi sono sentito abbandonato dallo Stato”. Quando la sua storia è stata resa nota, la società civile si è indignata, sono sorti gruppi di sostegno in molte località. Nel 2010 Pino Masciari ha concordato con il Ministero dell’interno la conclusione del programma speciale di protezione, e oggi vive finalmente alla luce del sole, rimanendo comunque sotto scorta.
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[…] l’articolo apparso su AostaSera.it: “Non è un paese per onesti. L’odisse di Pino Masciari“ Share Tweet Articolo Immagini Libro […]