(AGI) – Vibo Valentia, 2 giu. – “L’eliminazione del pentito Michele Orsi, avvenuta ieri a Casal di Principe per mano della Camorra, qualora ve ne fosse stato bisogno, sta dimostrando davvero, che siamo all’inizio di una vera e propria mattanza, una offensiva della criminalità organizzata contro chiunque osa denunciare, ribellarsi, siano essi pentiti, collaboratori di giustizia, testimoni di giustizia, sotto gli occhi assenti dello Stato che non reagisce, non provvede alla protezione. A questo punto penso che è arrivata l’ora che il Ministro dell’Interno Maroni a cui chiederò di essere ricevuto, si faccia carico di questo gravissimo problema ed intervenga con decisione prima che sia troppo tardi, se davvero si ha a cuore, come da anni si va sostenendo, la sconfitta della criminalità”. Ad affermarlo l’ex imprenditore calabrese Pino Masciari, uno tra i più importanti testimoni di giustizia che con le sue denunce ha spedito in galera numerosi esponenti della “ndrangheta, di ritorno da Casal di Principe dove si è recato con una delegazione di suoi sostenitori per deporre un fiore sulla tomba di Domenico Noviello, anch’egli assassinato dalla Camorra e stringere la mano alla moglie e ai figli e che ha detto di temere per la sua vita. “ Nel momento in cui è avvenuto l’assassinio di Michele Orsi – aggiunge Masciari – mi trovavo poco distante. Non si è capito niente. La Polizia ci fatti scappare. So soltanto che con questo ultimo delitto penso che lo Stato abbia fatto molti passi indietro sul piano della lotta alla criminalità e sulla voglia di ribellarsi ad essa dopo aver notato che è più forte, che uccide quando vuole e quando crede e quando si viene a sapere – continua Masciari- che tutti coloro che hanno pagato non avevano un sistema di protezione, vedi Orsi, vedi Noviello. A chi non lo danno, c’è chi lo sta attendendo e chi come me glielo hanno tolto ed avendo fatto ricorso al Tar 41 mesi fa, non sa ancora qual è la risposta. Adesso mi stanno proteggendo alcuni ragazzi che credono nella mia lotta, ma a costo di passare per un “rompiscatole” continuo a ripetere di temere sempre più per la mia vita”. Il caso di Pino Masciari che l’allora procuratore nazionale antimafia Pier Luigi Vigna, definì uno dei più importanti testimoni di giustizia d’Italia, è davvero emblematico. Una decina di anni addietro, adesso ha 48 anni, Masciari era titolare di una impresa edile con oltre 100 dipendenti che oltre ad operare a Serra San Bruno, il centro montano del vibonese, dove è nato, appaltava lavori in tante altre realtà calabresi: Catanzaro, Crotone e tutto il basso Jonio, ma ben presto, si è fatto avanti un comitato d’affari composto da “ndranghetisti, politici, apparati dello Stato che pretendevano una tangente del 6% su tutti i lavori, pena incendio dei mezzi, attentati, minacce di morte. Fino a quando non trovò ascolto nel comandante della stazione di Serra San Bruno Nazzareno Lopreiato, che avviò le indagini che poi consentirono di arrestare decine di ‘ndranghetisti contro cui si costituì parte civile in tutti i processi: quello contro le cosche dei “Viperari” di Isola Capo Rizzato e via dicendo. Una scelta doverosa, un qualcosa che sentiva dentro, come spesso va dicendo. Una liberazione. Allora non c’era nemmeno l’antiracket. Ma per lui e per la sua famiglia, moglie dentista e due figli di pochi mesi, fu la fine, una specie di morte civile. Venne prelevato di notte e spedito in esilio, in una località segreta, si fa per dire, da dove continua a lottare, con un minimo programma di protezione che alla fine gli è stato tolto del tutto. Va in giro per tutta Italia, spesso senza scorta, per parlare di legalità. Torino ed altre città gli hanno concesso persino la cittadinanza onoraria, mentre lo Stato a cui si è rivolto, da quell’orecchio non sente, aspetta soltanto di prendere nota del prossimo morto ammazzato, collaboratore o testimone di giustizia che sia, per poi domandare perché non era stato ammesso al programma di Protezione. Tutte le volte così. Un fatto che non si sa fino a che punto sia casuale, come va dicendo Masciari.