Dare la vita e quella della propria famiglia allo Stato per poi essere liquidato con tre righe, senza motivazioni, senza che nessuno alzasse lo sguardo e avesse il coraggio di dire \”Sig. Masciari, la sua scorta è stata revocata perchè……\”. E\’ questo ciò che è accaduto e che tutt\’ora accade alla Famiglia Masciari, perchè se pensate che tutto si sia risolto con la \”revoca della revoca\” beh, allora sbagliate. La Famiglia Masciari, Pino Masciari non ha scorta, non ha vigilanza per se e per i suoi cari vicino l\’abitazione dove vive. La presenza degli uomini della scorta, che ricordiamo essere stata declassata al 4° livello dal 3° che aveva in precedenza SENZA CHE A TUTT\’OGGI VE NE SIANO STATE DATE MOTIVAZIONI (3° livello=auto blindata ovunque andasse e vigilanza nei pressi dell\’abitazione; 4° livello= 2 agenti, non sempre presenti ovunque vada e nessuna vigilanza), è ormai merce rara, Pino si sposta completamente da solo con tutti i rischi connessi (non dimentichiamo che componenti delle principali famiglie da lui denunciate e fatte condannare, vivono oggi a Torino ed in Piemonte).
Pino Masciari è stato condannato da un tribunale fantasma ma più potente di qualsiasi altro esistente, quello composto da \”servitori\” dello Stato che hanno il potere di distruggere la vita di persone come i Masciari che in quello Stato ci credevano e che oggi, silenziosamente, con brevi notifiche e mortali silenzi, stanno eseguendo la loro sentenza!
La colpa di Pino Masciari è quella di aver denunciato, oltrechè i mafiosi, anche le collusioni tra \’ndrangheta e politica, e quando tocchi i politici spariscono gli ideali, i colori che li contraddistinguono ed ogni contrasto che sino ad un attimo prima li metteva l\’uno contro l\’altro per metterli in una spaventosa e pericolosa annessione e fratellanza, perchè in Italia se tocchi il Re….muori!
Testimone contro la n’drangheta: “Ecco la Resistenza ai giorni nostri”
L’imprenditore calabrese Pino Masciari ai ragazzi del Pascal di Romentino la sua lotta contro la mafia: «Quando mi hanno tolto la scorta ho ricevuto solo una lettera di tre righe»
«Quando mi hanno tolto la scorta ho ricevuto tre righe di lettera da carabinieri e ministero degli Interni: sono in attesa della sentenza del Tar, dovrà verificare se la revoca della protezione sia giustificata o meno». È l’ultima amarezza, dice Pino Masciari, l’imprenditore calabrese testimone di giustizia, diventato una bandiera nella lotta contro la n’drangheta e la criminalità organizzata, in una vita che dal 17 ottobre 1997 si è trasformata in un «esilio».
Masciari ha raccontato la sua storia ai ragazzi dell’istituto Pascal di Romentino, ad organizzare l’incontro il comitato degli studenti. «E’ un modello di cittadinanza attiva», ha rimarcato la preside Silvia Baldi, «Siamo alla vigilia del 25 aprile – ha aggiunto l’assessore provinciale Milù Allegra – Pino è un esempio di Resistenza oggi, di lotta alla malavita».
Le richieste della mafia
Masciari ha ricordato una vita prima ricca di successi imprenditoriali («avevo centinaia di dipendenti nei miei cantieri e un fatturato di 25 miliardi di lire, ero una persona appagata»), poi il primo contatto con la criminalità organizzata calabrese: «Si sono avvicinati con garbo, chiedevano il posto di lavoro per un padre disoccupato, un giovane in difficoltà, poi hanno iniziato a voler imporre gli acquisti del materiale, allora mi sono opposto». La n’drangheta passa alle maniere forti: «Mi hanno chiesto il 3%, quando ho rifiutato, sono passati alle minacce, hanno distrutto macchinari, incendiato i cantieri, ferito mio fratello».
«Io non ho ceduto»
Pino Masciari sa coinvolgere i ragazzi: «Cosa faresti tu se domani mattina ti chiedessero dieci euro al giorno per venire a scuola tranquillo?». E gli studenti sono in difficoltà: «Forse accetterei – risponde una ragazza – anche per evitare problemi alla mia famiglia». «E io non ho accettato – dice lui con veemenza – la libertà vale più di tutto». La seconda parte della vita del «testimone di giustizia» è il calvario affrontato con la famiglia nelle località segrete, la solitudine, gli ostacoli striscianti che molti personaggi delle istituzioni frappongono per rallentare o azzerare le sue denunce, dal magistrato che poi si scopre colluso alle sentenze di condanna non applicate, sino alla revoca della scorta. «E’ inaccettabile – commenta il consigliere regionale Domenico Rossi – che non sia possibile tutelare un uomo che ha scritto con la sua vita un pezzo della nostra liberazione, quella dalla criminalità organizzata».