Indicare, oggi, la \’ndrangheta come un problema del territorio calabrese, non è frutto di scarsa informazione o superficialità: è malafede. Al Centro Nord, il problema non sta tanto nella quantità di amministrazioni che risultano asservite o di territori controllati dagli esattori del pizzo, che pure esistono. L\’allarme sta piuttosto nell\’accesso al credito, poiché il finanziamento facile e illimitato che \”bypassi\” il sistema ufficiale è l\’atout mafioso dei periodi di crisi, il fulcro invisibile dell\’equilibrio che si determina tra convenienza economica, paura, furbizia, individualismo. Il bisogno di denaro rende gli imprenditori più fragili ed esposti, più temerari e omertosi di quanto non possano dieci subappalti per movimento terra. Il \”Nord\”, per le cosche, è un\’offerta di economia, finanza, logistica, beni, in dosi smisurate, esponenziali, rispetto a quelle riscontrabili in Calabria.
Michele Prestipino, siciliano, vice di Giuseppe Pignatone alla Procura di Reggio Calabria, aggiunge un elemento: «Attraverso il \”sistema-impresa\” le cosche possono agganciare quel sistema relazionale che è pane quotidiano per l\’imprenditore (contatti con la Pa, professionisti, politica, istituzioni), una risorsa da acquisire e sfruttare per i propri fini». Per questo al Nord – almeno a oggi – non si spara: si tratta, si vende, si compra; non si sporca, non si fa rumore; niente coppole, solo gessati; niente dialetto, solo buon inglese e studi adeguati. Un \”garbo\” che incorpora l\’alibi per quanti fingeranno di non sapere con chi si stanno accordando.
In Calabria, la fonte di ricchezza è data dall\’afflusso di fondi pubblici. Ecco perché le \’ndrine dedicano tanta attenzione a politica e amministrazione, veicoli naturali delle elargizioni. Da qui l\’occupazione più o meno evidente di consigli comunali, provinciali, di quello regionale, di poltrone di sindaco, di ogni snodo utile a intercettare flussi di denaro statale o europeo. Ciclicamente, i magistrati strappano lembi della coltre gelatinosa che soffoca le libertà civili dei calabresi, ma il tessuto maligno si riforma di continuo, grazie all\’assenza di selezioni severe dei candidati (che solo la politica può operare) e di chiari \”no\” dei partiti a pacchetti di voti detenuti da facce tanto note quanto impresentabili.
Riportavano i giornali, che nei giorni scorsi 40 persone sono state arrestate nella Locride; tra queste, il sindaco e tre assessori di Marina di Gioiosa Jonica. Secondo la Dda reggina, il sindaco era espressione della cosca Mazzaferro, cui restituiva il \”favore\” dell\’elezione, a suon di appalti pubblici. Senza elencare i Comuni calabresi sciolti per mafia, basti ricordare i colpi portati a dicembre, come l\’arresto dell\’ex sindaco di Siderno, transfuga di molte compagini (Fi, Mpa, lista per Loiero presidente), ma in realtà organico alla cosca Comisso; o di quel Santi Zappalà, consigliere regionale della Calabria, per la cui immeritata liberazione anticipata si sono silenziosamente prodigati alti funzionari pubblici in servizio e in pensione. Proprio il 3 maggio la Procura ha chiesto le condanne di Zappalà (a quattro anni) per voto di scambio e di altri tre candidati alle regionali, nemmeno eletti, ma a disposizione di boss quali Pelle e Morabito. Ancora Prestipino: «Colpisce la sottomissione offerta dai candidati. Uno di loro spiega a un boss che è contrario a comprare i voti, \”perché il denaro pareggerebbe i conti\”. E le microspie lo registrano mentre argomenta che \”se io pago vuol dire che non ti voglio più riconoscere. Invece, se dico no, il rapporto rimane sempre di stima, di riconoscenza, di amicizia e di tutto\”».
Un quadro deprimente del degrado civile e sociale (così è percepito dai calabresi onesti, il che basta a gelare i già rari slanci di reazione) che ancora oggi viene disvelato solo dagli arresti, mai da interventi preventivi, ordinari, anticipatori della politica e delle istituzioni. Ecco perché è fuorviante pretendere che le stesse parole descrivano la pervasività mafiosa sul territorio nazionale, uno stesso male che assume forme diverse e che perciò esige cure diverse. Anche se, dice il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, vale «l\’impegno a far percepire quella criminale come una grande questione nazionale che tutti, aziende, sindacati, apparati dello Stato devono affrontare insieme, concertando strumenti condivisi ed efficaci».
La difesa della società e dell\’economia impone dunque priorità diverse nel Reggino e altrove. Dove le forze economiche e sociali sono per storia e tradizione più forti e radicate, va concentrato lo sforzo per «recidere le connessioni tra mafiosi e mondo del lavoro, imprenditori innanzitutto; perché salvaguardare l\’economia sana significa privare le cosche di uno dei loro punti di maggior forza. La contestuale attività di repressione farà il resto». Ma il modo in cui le imprese stanno facendo la loro parte è un tema che provoca scetticismo in magistrati esperti, che chiedono ben di più. Perché solo questa impostazione, già operante sull\’asse repressivo ben rodato tra Reggio Calabria e Milano, può dar corpo a una nuova «antimafia sociale, dei fatti, quella che impone la partecipazione silenziosa e operosa di tutti – conclude Prestipino – in questa durissima battaglia».
di Lionello Mancini (tratto da IlSole24Ore)