E\’ di questi giorni la notizia dell\’attentato a Roberto Saviano che sarebbe stato pianificato dalla camorra entro Natale. Non possiamo che essere intimamente solidali e vicini a Roberto, assistendo alla sua reazione di sconforto e desiderio di vivere e andarsene dall\’Italia con la sensibilità di chi ha già visto altri affermare la stessa tempo addietro: era aprile e Pino chiedeva asilo politico all\’estero per la sua famiglia, per salvar loro la vita.
La reazione del mondo politico alla notizia dell\’attentato a Saviano è quella di una gamba intorpidita che al colpo del martelletto del dottore scatta con un ritardo, segnale di qualcosa che non va nella salute.
Le due più alte cariche dello Stato, Il Presidente della Repubblica Garante della Costituzione Giorgio Napolitano e il Presidente del Senato Renato Schifani hanno parole di sostegno per Saviano, chiedendo lui di attraversare l\’esperienza di una vita di scorta e di rinunce ai propri diritti restando nella propria Italia. Non ascoltando quindi i tanti intellettuali che consigliano a Saviano l\’abbandono del suolo natio. Restare in Italia come patrimonio di Legalità: espressione alquanto infelice osservando lo stato di abbandono dei tanti patrimoni nazionali.
Cosa attenda Roberto Saviano sarà un mistero: gli augureremmo il meglio della protezione a garanzia di un\’esistenza degna di esser chiamata tale… ma l\’esempio dell\’esperienza della famiglia Masciari e di quella degli altri testimoni di giustizia ci hanno disilluso a riguardo.
Ci chiediamo perchè non c\’è ancora stata una presa di posizione corale altrettanto forte e autorevole per TUTTI coloro che sono minacciati dalle mafie per aver denunciato, fosse nelle aule giudiziarie fosse nelle opere letterarie o giornalistiche.
Auspichiamo che questo altro tremendo fatto di cronaca sia l\’inizio di un percorso chiaro, netto e battuto dalle Istituzioni e dalla Società Civile a cancellare le trascuratezze, le inefficienze e le irresponsabilità di uno Stato che fa fatica a proteggere i suoi cittadini, soprattutto quelli che si affidano alla tutela dello Stato.
P.S. Per completezza di informazione è di oggi la notizia che il pentito smentisce di aver parlato dell\’esistenza di un attentato.
Aggiornamento del 16 ottobre:
Il fatto che chi dice la verita’ in nome della giustizia debba andarsene e coloro i quali sono denunciati restino… riempe di dispiacere, specialmente chi come me ha lasciato l’Italia sperando un giorno di tornarci e ritrovarla migliore di come l’aveva lasciata. Ovunque vadano i tutti i coraggiosi Saviano o Masciari del caso avranno la nostra stima e il nostro supporto. Sempre.
se lo stato nn riesce a stare vicino a chi denuncia
io penso che dovrebbe farlo almeno la società civile…
vi siamo vicini Pino e Roberto
Angela
Ciao a tutti!
Ho finalmente trovato qualche minuto per inviare ai miei contatti e-mail una “catena” con la storia di Pino Masciari. Naturalmente ho aggiunto che non si tratta di un’eccezione, ma della regola e oltre all’indirizzo di questo sito internet, ho aggiunto l’indirizzo internet di “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”. Non so se la catena girerà, ma forse qualcun altro si interesserà a questi problemi, e naturalmente più siamo e meglio è!
Ora come ora internet è il mezzo più potente a mia disposizione per sostenere coloro che combattono contro la criminalità organizzata, quindi lo uso! Spero di riuscire a sensibilizzare qualcuno, perchè è proprio ora di finirla di considerare gli immigrati un problema mentre le organizzazioni criminali ITALIANE insieme a politici collusi fanno dell’Italia ciò che vogliono!
Sono d’accordo con Angela..se lo Stato abbandona, allora deve esserci la società civile!
E intanto ancora una volta ribadisco la mia vicinanza a tutti i Saviano e i Masciari d’Italia!
Rosa
si protegge saviano perchè troppo in vista e si lascia nella …. pino masciari che rischia come lui .
Inoltre segnalo il caso di un pentito che ha denunciato quella che molti chiamano la banda dela magliana sarda e per avere protezione è costretto a farsi arrestare
dala nuova sardegna del 17\10\2008
Oristano. E’ testimone a un processo e vuole essere protetto: inscena
un furto e si consegna
Teme una vendetta, si fa arrestare
Autodenuncia di un ex pentito della banda di Is Mirrionis
ORISTANO. Meglio il carcere che testimoniare da ex pentito in un’aula
giudiziaria senza nessuna protezione. Così il cagliaritano Carlo
Dessì, 54 anni, un nome che riporta agli anni in cui nel capoluogo
dominava la banda di Is Mirrionis l’altra sera ha preferito farsi
arrestare dando vita a una sorta di sceneggiata: ha rubato un furgone
nel cuore della città di Eleonora, poi ha raggiunto la questura e si è
autodenunciato. Ci aveva provato anche poco prima, confessando un
furto (900 euro) messo a segno nel Lazio. Ma non è stato creduto. Così
ha optato per il furgone. Dessì mercoledì prossimo deve presentarsi a
un processo in tribunale a Cagliari: adesso spera di andarci con la
scorta.
Dove dovrà presentarsi la mattina di mercoledì 22 in veste di
testimone in un processo già fissato. Processo al quale voleva andare
solo se scortato dalla polizia penitenziaria. Con buona ragione,
tenuto conto che il protagonista di questo episodio un po’ kafkiano è
Carlo Dessì, 54 anni, cagliaritano doc, malavitoso di lungo corso e
forse uno dei pentiti della prima ora. Un uomo, insomma, sul quale
vorrebbero mettere le mani in tanti. E non certo per accarezzargli il
viso.
Infatti, nei suoi confronti esiste probabilmente una vera e propria
condanna a morte, emessa da qualcuno di quei boss che Carlo Dessì ha
volutamente tradito, dopo averne condiviso i crimini. Forse anche
quelli peggiori, mai confessati ovviamente, che dopo anni e anni di
indagini fece finire in Corte d’assise pezzi da novanta e semplici
gregari di quella organizzazione malavitosa conosciuta come la “banda
di Is Mirrionis”, capeggiata dal sanguinario Mario Tidu, che per lungo
tempo e impunemente terrorizzò Cagliari e dintorni, lasciandosi dietro
attentati dinamitardi (arrivarono persino a far esplodere la dinamite
davanti all’ingresso del commissariato di Sant’Avendrace, allora posto
in via Abruzzi), sparatorie in puro stile western nelle strade del
quartiere San Michele e un bel po’ di morti ammazzati.
Banda che fu sgominata all’alba di un giorno d’inverno di fine ’92,
quando un esercito fra poliziotti e carabinieri, coordinati
dall’attuale questore di Grosseto, Maria Rosaria Maiorino, cinse
d’assedio i quartieri di Is Mirrionis e San Michele per eseguire gli
ordini d’arresto firmati in buona parte dal sostituto procuratore
Mario Marchetti.
Ebbene, fra la cinquantina di persone – comprese molte donne – che
finirono in carcere (in parte a Buoncammino, in parte a Oristano e
altri a Sassari) c’era anche lui, Carlo Dessì, che forse aveva già
mosso i primi passi verso la più sicura oasi del collaboratore di
giustizia.
Ovviamente dopo arrivarono i processi. E nel corso di quello di primo
grado, davanti alla Corte d’assise, nell’aula del “palazzaccio”
cagliaritano fece capolino, seppure con una toccata e fuga, anche un
vero boss, di quelli con la “B” maiuscola. Vale a dire Gaetano Iannì,
“don Tano” per amici e picciotti, riconosciuto capo della Stidda, una
costola della mafia siciliana entrata in guerra aperta con Cosa
Nostra.
Cosa c’entrava Tano Iannì, che a cavallo dei fine anni Ottanta e i
primi anni Novanta viveva da libero vigilato in quel di Carbonia (con
tutto il suo clan, formato da gente dal grilletto facile)? Lo raccontò
lui stesso ai giudici – dopo aver indossato i larghi panni del
pentito, che ancor’oggi indossa insieme ai due figli che aveva
utilizzato in più azioni criminose – sostenendo che Mario Tidu e il
suo braccio destro Elio Melis, soprannominato Sa Niedda, avevano
contattato il clan dei siciliani per ottenere da loro droga in cambio
di armi o viceversa. Per concludere questa sorta di excursus criminale
va ricordato che il processo alla “banda di Is Mirrionis” si concluse
con la distribuzione di diversi ergastoli e centinaia d’anni di
reclusione, confermati poi, nel tempo, in Assise e in Cassazione. E
tra i condannati, a una pena tutto sommato mite, c’era anche lui,
questo Carlo Dessì protagonista dell’episodio oristanese, che per un
certo periodo era entrato nel cosiddetto programma di protezione,
messo in piedi giusto per tutelare i pentiti. Ma evidentemente la
protezione è stata breve. Già, perché Carlo Dessì, con un suo amico di
gioventù e di pentimento, Paolo Santona, morto poco tempo fa, si mise
nei guai durante le indagini sul sequestro di Silvia Melis con un
maldestro tentativo di calunnia ai danni del magistrato Mario
Marchetti, che a loro dire – ma poi ritrattarono tutto – li assoldò
per incastrare con una presunta storia di droga l’allora editore Niki
Grauso.
Poi, negli ultimi anni, Carlo Dessì ha finito con il vivere da
barbone, girovagando per l’Italia, tenendosi però ben lontano da
Cagliari. Chissà perché?
oggi maroni ha detto che Saviano è un simbolo e non il simbolo. aggiungendo “siamo noi la lotta alla criminalità organizzata”.
Brancoliamo nel buio se continuiamo a confondere gli uomini con i simboli e le persone con i personaggi.
E’ questa la lotta alla criminalità organizzata?
Maroni qualche tempo fa quando c’è stata la retata a Castelvolturno e ha inviato lì l’esercito ha detto anche che questa è la dimostrazione che lo Stato c’e! A voi sembra una dimostrazione della presenza dello Stato? Io ho avuto voglia di scendere a Roma a insultarlo!
Volevo anche dire una cosa su Saviano: è vero che lui ha la scorta perchè è noto e altri no e questo è vergognoso! Ma siamo sicuri che sia una vera protezione da parte dello Stato? Non fraintendetemi, non voglio dire che la scorta non serva, stavo solo riflettendo su una cosa: Saviano ha la scorta, ma avevano progettato un attentato contro di lui; Falcone e Borsellino avevano una scorta, ma li hanno fatti saltare in aria..se voi aveste paura dello Stato organizzereste attentati contro chi è protetto dallo Stato?
Ieri ho visto un pezzo di Matrix, una puntata su Saviano. Hanno fatto un’intervista ad un ragazzo di Casal di Principe chiedendogli cosa ne pensasse di Saviano e questo ha risposto: è uno che non si fa i cazzi suoi!
Secondo me il problema è questo atteggiamento! Scorta o non scorta..
Meglio tardi che mai..
http://indiano1983.blogspot.com/2008/10/la-calabria-che-c-ma-che-non-si-vuole.html
qui è possibile leggere il mio racconto della mia esperienza in Calabria, a Catanzaro con Pino e altri splendidi Amici, del precedente fine settimana.
A presto
Indiano
concordo con te rosa . la vera lotta ala mafia dovrebbe partire dall’educazione ala legalità , inserita nell’ora di educazione civica . Quando lo impareranno forse dopo un’altra capaci e via d’amelio con l’aggiunta di persone che non siano magistrati o o uomini di scorta
scuisate il sarcasmo del post precedente
Anche in Trentino hanno sgominato una cellula mafiosa facente capo alla Sacra Corona Unita. Solita storia: boss della Sacra Corona Unita sorvegliato speciale con obbligo di soggiorno in un paesino sul lago di Garda, assunzione fasulla in un bar, spaccio di droga..da verificare riciclaggio di denaro sporco..
Ora è da vedere come andrà il processo..speriamo che comunque una tale notizia dia la sveglia anche da queste parti, visto che qui la guardia è molto bassa e si pensa ancora di vivere in una specie di isola felice protetta da chissà quale scudo contro influenze esterne!
Fatto gravissimo..ma le forze dell’ordine sono intervenute in tempo stavolta! Speriamo bene!