Nel 2010, prima delle elezioni per la Regione, a casa sua, nel paese di Bovalino, sfilarono decine di candidati
«Dobbiamo raccogliere tutto quello che abbiamo così vanno già in 6 al Consiglio regionale… e se si comportano bene la prossima volta quei 6 vanno a Roma e vanno altri 6 al posto di quelli, in questa maniera si può andare avanti sempre». È racchiusa in questa intercettazione la capacità da stratega di Giuseppe Pelle, molto più di un boss della Locride, un capo dei capi vero e proprio a cui tutti andavano a chiedere consiglio: i capi delle cosche, gli imprenditori, i politici. Per anni da gran burattinaio secondo le risultanze investigative avrebbe mosso i fili di carriere non solo criminali.
Nel 2010, prima delle elezioni per la Regione, a casa di Pelle, nel paese di Bovalino, sfilarono decine di candidati, una sorta di “primarie” riprese dalle telecamere piazzate dal Ros. In quella occasione il boss ripeteva spesso ai suoi affiliati riferendosi agli aspiranti politici: «Loro hanno bisogno di noi». Tra i tanti che si accomodarono davanti al capobastone c’è anche il medico e allora sindaco di Bagnara Santi Zappalà che chiese espressamente «se possiamo trovare un accordo». Gli rispose Pelle: «Da parte nostra ci sarà il massimo impegno». Poche settimane dopo Zappalà troverà nelle urne oltre 11mila voti, il primo eletto della provincia. Nell’elenco c’è anche l’ex senatore di Gal Antonio Caridi prima che diventasse assessore nella giunta calabrese guidata da Giuseppe Scopelliti: «Questo lo dovete avvicinare – spiegava il boss Giuseppe Pelle – perché questo è un … un assessorato importante per le banche e per tutto! … omissis … l’attività produttiva viene qua a Reggio. A coso … Caridi … Questo qua dovete avvicinare …».
Il boss controllava tutto anche le università. La Facoltà di Architettura di Reggio Calabria, per esempio, dove ha piazzato il nipote Antonio e dove orgogliosamente lo stesso boss confesserà parlando di suo figlio Ciccio «lo abbiamo fatto entrare ad Architettura, l’abbiamo fatto entrare tramite mio nipote». Le intercettazioni hanno svelato anche che Pelle riusciva a garantire l’ammissione alle facoltà di Medicina di Catanzaro e Messina. Due uomini, cognati fra di loro, lo incontrano e gli portano il saluto del vecchio capo dei capi della ’ndrangheta Domenico Oppedisano. Dopo i convenevoli, uno dei due spiega che il figlio vorrebbe entrare a Medicina a Messina ma l’anno precedente «gli hanno cambiato il test e lui è rimasto un poco male». Pelle prima lo tranquillizza su Messina: «Un dottore, un amico nostro, ha i figli che stanno in quell’Università». Poi gli consiglia: «Fatelo iscrivere a Catanzaro, abbiamo trovato un amico… quando esce il test ve ne andate voi insieme a loro, al professore, lo corregge lui stesso… sono cose già impiantate».
Centrale nella strategia di Giuseppe Pelle è anche il ruolo di Giovanni Zumbo un commercialista reggino che per un certo periodo è stato utilizzato dai servizi segreti. È lui a rivelare in anticipo al boss particolari d’indagine sulla maxioperazione “Crimine”, molti mesi prima che questa venga portata a compimento. Giuseppe Pelle era poi punto di riferimento per tutte le altre cosche. Aveva intessuto alleanze strategiche come quella con i Barbaro di Platì suggellata con il matrimonio con Marianna Barbaro.
Era sempre lui a “spartire” affari e lavori pubblici tra i vari clan della zona. Fu lui a opporsi con fermezza alla nomina di Domenico Oppedisano da Rosarno a capo crimine. Pelle riteneva infatti che quel ruolo dovesse rimanere tra gli esponenti del “mandamento tonico” così come era stato per suo padre, il patriarca della ’ndrangheta ’Ntoni Gambazza. Un potere che Giuseppe Pelle sarebbe riuscito a mantenere anche durante la sua latitanza.