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C’ è una villa, immensa e con i mattoni a vista alla periferia del paese che ha sempre incusso un certo rispetto. Qui sarebbero passati nomi pesanti della \’ndrangheta calabrese, ma anche personaggi eccellenti legati al mondo della politica e dell’imprenditoria piemontese. Venuti a stringere accordi e a scambiarsi favori. E\’ la villa di Cuorgnè di Giovanni Iaria, uno dei capi indiscussi della criminalità calabrese trapiantata in Piemonte e finito in carcere assieme ad altre 150 persone nell’ambito dell’operazione Minotauro, condotta due mesi e mezzo fa dai carabinieri coordinati dalla Dda di Torino.

E\’ una parte, quella relativa alla villa di via Salgari, rimasta ancora nell’ombra di questa inchiesta, ma che spiega come Cuorgnè, per il pool antimafia della Procura, rappresentasse uno dei punti di riferimento della \’ndrangheta. Non solo per la gestione degli accordi sui traffici illeciti, ma anche per tessere rapporti con il mondo della politica. A Cuorgnè si incontravano i capi delle locali piemontesi con i boss che guidavano le \’ndrine di Grotteria, Mammola o Gioiosa Jonica, per decidere strategie e concludere affari. C\’erano personaggi come Carmelo Bruzzese, legato alla famiglia Coluccio, numeri uno della \’ndrangheta canadese o come Sebastiano Manglaviti, Giuseppe Giuffré, Rodolfo Scali. Due mesi e mezzo dopo l\’operazione Minotauro è come se la città si fosse liberata di una zavorra. «L\’aria è cambiata, ci sentiamo liberi» raccontava, ieri, un artigiano edile. Per anni, qui in città, criminali e gente per bene, hanno vissuto gomito a gomito. Quelli che ora sono finiti dietro le sbarre li potevi incontrare al bar per il caffè del mattino o per l\’aperitivo, poco prima di pranzo. Oppure li potevi notare mentre passeggiavano sotto il viale alberato di piazza d\’Armi, al Piccolo Torino, all\’Astoria o al bar Jolly. Di alcuni si sapeva, come Bruno Iaria, capo locale dai modi bruschi e violenti, originario di Condofuri, una sfilza di precedenti alle spalle. O di suo zio Giovanni, il capo, con il suo passato chiacchierato, da sempre affiancato alla \’ndrangheta. Altri arresti, invece, hanno destato sorpresa. Come quello di Domenico e Giuseppe Racco, padre e figlio, imprenditori, legati alla famiglia Bruzzese.

E la politica? Cuorgnè per il momento non viene neppure sfiorata a differenza di quanto accaduto a Rivarolo o Leini. Il sindaco della città, Giuseppe Pezzetto, si è insediato pochi mesi fa. Quando si è presentato agli elettori aveva chance quasi zero di spuntarla. «C\’era un sistema consolidato che durava da anni. Per molti un muro impossibile da valicare, invece ce l\’abbiamo fatta. E ora spero che il vento sia cambiato».

Molte pagine di questa inchiesta, però, forse non sono ancora state scritte. Aldo Mattioda è il titolare del bar Jolly, è stato interrogato dai pm torinesi perché nel suo locale si incontravano gli affiliati della locale di Cuorgnè. Lui un\’idea chiara se l\’è fatta: «I mafiosi veri non sono loro, molti di quelli finiti dentro avevano pure il conto in rosso in banca». C\’è chi è convinto, insomma, che ci sia un livello ancora più alto da scoprire. Un livello che, per il momento, è solo stato sfiorato.

Fonte: La Stampa

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