Due pagine che pesano come un macigno; il memoriale, datato 28 aprile 2011, che racconta di scarcerazioni, regali e favori. Il memoriale del capocosca pentito Antonino Lo Giudice e agli atti da ieri mattina al Tribunale della libertà di Catanzaro. Lo Giudice lancia pesanti accuse nei confronti di Alberto Cisterna (definito nelle intercettazioni come “l’avvocato di Roma”), attuale numero due della Direzione nazionale antimafia, i magistrati Francesco Mollace (a cui il clan aveva affibbiato il nome criptico “zio Ciccio”) e Francesco Neri. Uomini dello Stato che hanno sempre respinto a più riprese e con decisione qualsiasi collusione con la criminalità e tutte le accuse del collaboratore di giustizia. Nel memoriale Lo Giudice sostiene che «questi signori procuratori e Luciano Lo Giudice e Antonino Spanò sono stati legati per anni, l\’uno all’altro, per motivi illeciti e convenienze». Lo Giudice aveva già fatto i nomi di Mollace e Cisterna nelle deposizioni che hanno portato, il 15 aprile scorso, all’arresto dello stesso Lo Giudice, del fratello Luciano e di altre due persone per le bombe fatte esplodere lo scorso anno contro la Procura generale di Reggio Calabria e l’abitazione del procuratore generale Salvatore Di Landro e dell’intimidazione al procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone.
«Il pentito Lo Giudice è inattendibile su questa vicenda». Lo dice il procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia Alberto Cisterna dopo la pubblicazione di venerdì sul “Quotidiano” del memoriale del collaboratore di giustizia Antonino Lo Giudice, depositato agli atti del tribunale della libertà di Catanzaro, titolare del fascicolo sulle bombe ai magistrati di Reggio Calabria. Il boss aveva lanciato pesanti accuse nei confronti di Cisterna, e di altre due toghe, Francesco Mollace e Francesco Neri. Se per Cisterna il collaboratore è inattendibile su questa vicenda per la Dda di Reggio è, invece, “sinora attendibilissimo”, come è stato riferito in più circostanze dal procuratore Giuseppe Pignatone.
Due diverse visioni tra Dna e Dda, quindi. Fatto sta che ieri il tribunale del riesame del capoluogo ha confermato l’arresto per il boss pentito. Le accuse di Lo Giudice hanno scatenato la dura reazione di Cisterna: «Apprendo e non mi sorprende – sottolinea – che in circuiti mafiosi è circolata una voce, anche imprecisa, su un ruolo svolto dal mio ufficio e quindi da me al fine di pervenire alla cattura del famigerato Pasquale Condello. Sono convinto che a tali voci debbano ricondursi i fastidi finora subiti per questa vicenda». Nel memoriale la gola profonda del clan che in merito alla cattura del superlatitante Pasquale Condello «è stato interpellato personalmente il dottore Cisterna per volere mio e per motivi che sono riservati al procuratore». «Si accontenti, per il momento, la pubblica opinione – ha continuato il numero due della Dna – di ciò che è stato disvelato sul punto sia pure in termini erronei. Doveri istituzionali che prescindono interamente dalla mia persona e dalla mia disponibilità mi hanno imposto e mi impongono l’assoluto silenzio sul punto per come imposto dalle norme di legge. Ho più volte detto che si tratta di una questione delicata che non può essere trattata in modo spregiudicato e avventuristico poichè coinvolge la vita di colleghi e di altre persone e vede in discussione interessi superiori della Repubblica». Secondo il procuratore aggiunto della Dna tutto ciò che è stato scritto «è frutto di una fantasia probabilmente indotta e malcostruita che è smentita da ciò che è già stato accertato. Non vorrei che ci siano in discussione questioni sulla chiara inaffidabilità di Antonino Lo Giudice su molti punti di questa vicenda, rilevata anche dal provvedimento giudiziario che lo riguarda, nella ricostruzione della vicenda di Catanzaro, stigmatizzata anche dal gip di Catanzaro. E credo di poter dire che abbia altre motivazioni che risalgano ad altri contesti». «L\’unica cosa che so è che ho fatto una segnalazione ed è stata salvata la vita di un giovane». Lo Giudice ha parlato anche un interessamento di Cisterna per la scarcerazione del fratello Maurizio, passato poi dalla parte della giustizia.
«Chissà – ha aggiunto – Antonino Lo Giudice quali ricordi sovrapposti, confusi o indotti ha sull\’argomento. Luciano Lo Giudice mi disse di questo ragazzo gravemente malato ed essendo un collaboratore sotto protezione segnalai la cosa ai magistrati che se ne occupavano e quel ragazzo, che arrivò a pesare 45 chili, venne salvato grazie all’intervento del collega Macrì (Vincenzo Macrì, oggi procuratore generale di Ancona). Per il resto non so e non ho mai saputo se sia detenuto o se sia stato liberato perchè non me ne sono mai interessato. Posso dire che apprezzai il gesto di Luciano Lo Giudice perchè, malgrado un certo clima sociale in cui sappiamo tutti cosa vuol dire essere parenti di un collaboratore, ebbe attenzione per un fratello. Tutto ciò l’ho riferito al procuratore nazionale e alla Dda di Reggio ed è già agli atti del procedimento». In merito poi ai contatti avuti con Luciano Lo Giudice, ha detto di escludere «categoricamente che questi 70 contatti possano essere, complessivamente, più di 7 o 8 minuti in due anni e mezzo e sono in gran parte da ricollegare al ricovero del figlio di Luciano Lo Giudice, un bambino di tre anni autistico. Mi chiese se poteva essere in qualche modo curato in un ospedale specializzato. E risulta chiaramente agli atti».
Ma qual\’è la verità? Lo stabilirà la magistratura, ovviamente, che ha già posto al vaglio le pesanti dichiarazioni accusatorie. Nell’ultima occasione, quella dello scorso 15 aprile, la stessa magistratura di Catanzaro scrisse che non erano “emerse condotte suscettibili di valutazione sotto il profilo penale, in relazione ai soggetti appartenenti all’ordine giudiziario”. A un mese di distanza da quei “rumors”, le parole del pentito riaccendono le sirene delle connivenze tra stato e ndrangheta. La parola passa alla magistratura.
tratto da Quotidiano della Calabria