E\’ stato un delitto \”politico-mafioso\” che ha scosso tutta l\’Italia quello di Francesco Fortugno, il vicepresidente del consiglio regionale della Calabria, in quota Margherita, ucciso a Locri il 16 ottobre del 2005. A distanza di sei anni dal delitto, ieri sera, i giudici della Corte d\’assise d\’appello di Reggio Calabria presieduta da Bruno Muscolo, hanno chiuso la seconda pagina giudiziaria confermando la condanna all\’ergastolo di mandanti ed esecutori dell\’omicidio. Carcere a vita, dunque, per Alessandro e Giuseppe Marcianò, padre e figlio, ritenuti i mandanti del delitto, Salvatore Ritorto, indicato come il killer, e Salvatore Audino. Una sentenza giunta dopo quasi nove ore di camera di consiglio ed accolta con comprensibile soddisfazione dalla vedova, Maria Grazia Laganà, deputata del Pd, presente in aula con i figli Anna e Giuseppe.
Francesco Fortugno era nell\’androne di palazzo \”Nieddu del Rio\” nel centralissimo corso di Locri, quando un sicario vestito di nero si avvicina e lo uccide con 5 colpi di pistola. Le indagini si indirizzano subito sull\’attività politica dell\’uomo, che nella vita privata, svolge le funzioni di primario del pronto soccorso dell\’ospedale di Locri. La svolta decisiva nelle indagini giunge un mese dopo la morte di Fortugno, con l\’operazione \”Lampo\”. Il 15 novembre del 2005, infatti, finiscono in carcere le giovani leve del clan Cordì di Locri. Nell\’elenco dei destinatari dell\’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip distrettuale con le accuse di associazione mafiosa, detenzione e porto illegale di armi da guerra, figurano tra gli altri, Antonio Dessì, Alessio Scali, Domenico Novella e Bruno Piccolo. Gli ultimi due, saltano presto il fosso e diventano collaboratori di giustizia. Le dichiarazioni dei due nuovi \”pentiti\” sono state l\’asse portante delle due fasi dell\’operazione \”Arcobaleno\”, nome in codice, che hanno portato all\’arresto di presunti mandanti ed esecutori dell\’assassinio del vicepresidente del Consiglio regionale. L\’inchiesta porta all\’individuazione del killer vestito di nero e col volto coperto da passamontagna (la descrizione dei testimoni era stata univoca),si chiama Salvatore Ritorto, ha 27 anni ed è di Locri, che con la sua azione aveva insanguinato la domenica delle Primarie dell\’Ulivo, aprendo uno scenario da incubo sul futuro della Calabria. Con Ritorto, in esecuzione di un\’ordinanza emessa dal gip viene arrestato anche Domenico Audino, accusato di aver accompagnato in auto il killer. L\’accusa di omicidio viene contestata anche a Carmelo Dessì, e Domenico Novella.
Nella stessa fase, vengono arrestate altre cinque persone per concorso in associazione mafiosa, tentato omicidio, danneggiamento, rapina. Tra di loro c\’è Vincenzo Cordì, nipote di Antonio Cordì \”U ragiuneri\”, capo indiscusso della cosca morto nel 2007. Vengono acquisite alcune lettere che Vincenzo Cordì il boss dal carcere spedisce sia a Piccolo sia a Novella per invitarli a non parlare: \”La galera è una cosa che si fa con tranquillità\”, scrive Cordì. E lo stesso boss scrive anche a un suo compare calabrese che si trova a Sulmona per raccomandargli Piccolo, allora detenuto nel carcere abruzzese. Nei giorni successivi all\’operazione comincia a circolare il nome di Alessandro Marcianò e si fa un gran parlare dei suoi rapporti con Domenico Crea, primo dei non eletti della Margherita al Consiglio regionale. Domenico Novella, già in carcere per l\’operazione \”Lampo\”, raggiunto dall\’accusa di concorso nell\’omicidio Fortugno, salta il fosso seguendo l\’esempio di Piccolo che nelle prima battute della sua collaborazione aveva indicato il killer in Salvatore Ritorto definendolo \”amico di Alessandro Marcianò\”. E sul caposala dell\’ospedale di Locri, soprannominato \”Celentano\” per una vaga somiglianza con il \”molleggiato\” e su suo figlio Giuseppe si concentrano gli strali accusatori di Novella. Vengono fatti i riscontri e dopo tre mesi, il gip emette un ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Alessandro e Giuseppe Marcianò: il primo accusato di essere il mandante, l\’altro anche in veste anche di esecutore. Inizia l\’udienza preliminare che si conclude con il rinvio a giudizio delle persone processate a Locri. Durante il dibattimento a Locri si registrano avvenimenti clamorosi come il suicidio di Piccolo e l\’arresto di Domenico Crea, subentrato in consiglio regionale proprio a Francesco Fortugno, e che nella precedente legislatura aveva come componente della sua segreteria particolare nell\’assise regionale, proprio Giuseppe Marcianò. Crea viene arrestato nell\’ambito dell\’indagine \”Onorata sanità\” condotta dalla direzione distrettuale antimafia reggina. Il 2 febbraio del 2009 la corte d\’assise di Locri, presieduta da Olga Tarzia condanna: Alessandro e Giuseppe Marcianò, padre e figlio, accusati di essere stati i mandanti dell\’omicidio di Francesco Fortugno e Salvatore Ritorto e Domenico Audino indicati come esecutori materiali del delitto alla pena dell\’ergastolo. Mentre per associazione mafiosa infligge a Carmelo Dessì (4 anni) e Antonio Dessì (8 anni), mentre combina 12 anni a Vincenzo Cordì, indicato come uno dei capi dell\’omonima cosca egemone nella Locride. Oggi, infine, la corte d\’assise di Locri, conferma in sostanza le condanne di primo grado agli esecutori e mandanti del delitto, riformando in parte ed assolvendo i tre comprimari.
Tuttavia la vedova, Maria Grazia Laganà, anche stasera, così come ha fatto più volte in passato, ha sottolineato come l\’omicidio del marito \”non poteva essere deciso ad un livello così basso\”, lasciando intendere che le indagini devono proseguire per individuare il \”terzo livello\”. Un\’esortazione che fece anche dopo la sentenza di primo grado, il 2 febbraio 2009. La Laganà si è richiamata alle parole del procuratore nazionale antimfia che a suo tempo, definì quello di Fortugno come un delitto \”politico-mafioso\”. Un\’ipotesi che nasce anche dalle modalità e dal luogo del delitto. Fortugno, infatti, fu ucciso all\’interno di Palazzo Nieddu, a Locri, dove era stato allestito il seggio per le primarie dell\’Unione di Prodi. Un luogo, è il pensiero ancora presente in molti, che non può essere stato scelto a caso. Fino ad ora, però, le indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia non hanno trovato elementi per suffragare quello che è il sospetto di molti e cioé che dietro l\’omicidio Fortugno si celi un livello \”politico\”. Il delitto dell\’esponente politico della Margherita suscitò dolore e sgomento, non sono il Calabria, ma in tutta Italia ed a tutti i livelli. Sentimenti che il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi tradusse con la visita alla camera ardente allestita nell\’aula del Consiglio regionale calabrese. Fu allora che Ciampi, visibilmente commosso, lanciò un\’esortazione ai calabresi: \”reagite con fermezza, non siete soli, l\’ Italia tutta è con voi\”. L\’ondata di commozione, ma anche la percezione che la criminalità avesse fatto un balzo in avanti nella propria azione, provocò anche la decisa reazione da parte dello Stato che inviò in Calabria le migliori energie per rispondere con immediatezza. Uno sforzo che condusse, nel giugno successivo, all\’arresto di mandanti ed esecutori del delitto. Un omicidio, é sempre stata la tesi dell\’accusa, motivato dal rancore provato da Alessandro Marcianò, dipendente dell\’ospedale di Locri, verso Fortugno \”reo\” a suo avviso di essere stato eletto al posto di un altro candidato, Domenico Crea, sostenuto dallo stesso Marcianò, che, comunque, non è mai stato coinvolto nell\’inchiesta.