La Stampa – Torino – Giuseppe Legato
«In Piemonte la \’ndrangheta ha una sua consolidata roccaforte, che è seconda, dopo la Calabria, solo alla Lombardia. Attualmente è la \’ndrangheta la protagonista della scena criminale piemontese tanto sul versante del traffico di droga quanto su quello più propriamente definibile del controllo del territorio, quest’ultimo in fase di sicuro rafforzamento».
Lo scomodo terzo posto sul podio della penetrazione della criminalità organizzata calabrese è stato certificato pochi giorni fa dalla Direzione nazionale Antimafia (Dia) nella relazione annuale, che stila a dicembre sulla base delle indagini concluse e di quelle ancora in corso. È il primo, difficile, boccone da digerire dopo la maxi operazione Minotauro, che ha portato in carcere 148 affiliati alla onorata società calabrese.
A sei mesi di distanza dalla «Caporetto \’ndranghetista» a Torino, si fanno strada le prime considerazioni, i primi giudizi. Uno su tutti: è una mafia semi-invisibile «che riduce al minimo i contrasti interni, risolti solo raramente con la violenza, che realizza estorsioni più con il condizionamento e l\’intimidazione ambientale che con l\’esercizio di pratiche di violenza esplicita». Obiettivo: rimanere sotto traccia, lavorare a fari spenti.
A Torino la \’ndrangheta «continua a trattare droga di cui è però ormai solo distributore di grandi quantità», poi reinveste i soldi nel settore dell\’edilizia «che in Piemonte è il settore maggiormente inquinato da persone e imprese mafiose di origine calabrese. Gli \’ndranghetisti si occupano soprattutto dei lavori meno tecnologici, quali il movimento terra, nel quale ciò che occorre è soprattutto la forza lavoro».
Imprese sporche che mettono in ginocchio gli imprenditori sani di Torino e del Piemonte: «In tale settore – scrive l\’Antimafia – le imprese mafiose sono clamorosamente favorite, in un’ottica di concorrenza rispetto a quelle legali, dal non dover rispettare alcuna regola, ed anzi dal poter fare dell’assenza delle regole il punto di forza per accaparrarsi commesse. I lavori sono anche realizzati, ma le procedure di acquisizione e realizzazione sono del tutto inquinate da minacce, violenze e corruzione, che consentono veri e propri “risparmi d’impresa” nella sua realizzazione». Con quali modalità? «Esercitando l’usura in luogo del mutuo, il commercio di sostanze vietate in luogo del commercio di merci permesse, il gioco clandestino senza regole invece del gioco legalizzato con regole, l’estorsione mascherata da guardiania in luogo dei regolari servizi di vigilanza».
Ci sono poi i deleteri contatti col mondo della politica, accertati da Minotauro. Un fenomeno che colpisce la provincia e molto meno il capoluogo «Il fenomeno della collusione-corruzione politica è più frequente in realtà territoriali non molto grandi, e infatti i Comuni in cui le infiltrazioni mafiose sono finora apparse più evidenti sono stati Leinì, Ciriè, Castellamonte, Borgaro Torinese e Rivarolo Canavese. Si tratta di realtà non necessariamente piccole, ma certo inferiori per dimensioni, e quindi anche per dinamiche politiche, rispetto ai capoluoghi di provincia».
Come mai? «Una chiave di lettura – scrive la Dia – è forse data dal fatto che, benché la ‘ndrangheta in Piemonte sia ormai profondamente insediata, non può però contare su una cultura mafiosa congenita, come invece avviene nei territori di origine. Ogni collusione deve quindi essere creata ex novo, occorre tempo per farlo e ciò è più facile in realtà di non eccessive dimensioni».
Anche perchè, riferita all’ultima parte del tracciato giornalistico, nei luoghi più piccoli si mascherano anche molto bene i voti, che legittimano una determinata preferenza.Con pochi voti, dati dagli ‘ndranghetisti, faccio eleggere chi ho voluto, accaparrandomi i lavori di appaltatura e subappaltatura, nonchè di movimento terra di cui la ‘ndrangheta ha bisogno.
E per far ciò, la ‘ndrangheta, non disdegna,prima di ogni elezione,far concedere la residenza in quel determinato luogo a loro concittadini, che provengono dalla Regione madre,la Calabria, da cui dipendono,come ha dimostrato l’Operazione ” Il Crimine” della Procura della Repubblica di Reggio Calabria.
In relazione al problema dell’acquisizione delle “commesse”, che vengono concesse sarebbe propenso far intervenire la Confindustria della Regione Piemonte, perchè è evidente che, sarebbe quantomeno compito dei Prefetti delle varie Province regionale, non vi è un reale e serissimo controllo sulla definizione degli appalti.
Viene così messa in serissima discussione,nella già più che temuta crisi economica,la consistenza dell’economia sana sulla quale dipendono le forniture, i prezzi di mercato, le assunzioni,ecc.,ecc.
Non manca certo,un certo rimbrotto nei confronti delle alte cariche istituzionali,che devono gestire la Regione Piemonte con il suo capoluogo,Torino, e le Province di Regione, ove le indagini e le verifiche incrociate sono il deterrente ed il contenimento nei confronti di un’organizzazione criminale di stampo mafioso, la ‘ndrangheta,che imperversa “indisturbata”, ma che invece, il procedimento “Minotauro” ha evidenziato come colonizzatrice delle Regioni del Nord Italia.
Ritengo,a mio avviso,e di plausibile giudizio, che il compito di un Comandante Regionale dei Carabinieri e/o della Guardia di Finanza, debba essere quanto prima orientato su questo versante.Ci deve essere,pertanto,un’organizzazione corale di tutti,perchè non si possono lasciare delle Regioni in balia di codeste organizzazioni, dopo un esame così specifico ed attento redatto dalla Procura – e/o Direzione – Nazionale Antimafia.
Anche perchè ritengo, che le operazioni investigative, che vengono consegnate al vaglio della Magistratura, devono avere una valenza con prove acquisite di un certo spessore.
Dopodichè, le stesse verrano ampliate, maggiorate e coordinate con la Magistratura.
Mi preme,dunque,sottolineare un altro aspetto prettamente logistico e territoriale.Se nell’Ottobre del 1973,il Generale di Brigata dei Carabinieri,Carlo Alberto Dalla Chiesa, Comandante della 1°Brigata dipendente delle Regioni Valle d’Aosta,Piemonte e Liguria,ha introdotto in seno all’Arma dei Carabinieri risultati di portata storica,come può e come dovrebbe, il neo Comandante di oggi, generale di Brigata,Pasquale Lavacca,la cui dipendenza alle Regioni, esclude già a priori la Regione Liguria,perchè sotto il Comando di altro Ufficiale Generale,attivarsi attraverso i propri Comandi Provinciali – ben 8 solo in Piemonte – per avere possesso del proprio territorio,ed essere in grado di organizzare e pianificare, una o separatamente più ,operazioni antimafia rivolte all’organizzazione criminale della ‘ndrangheta.
Grazie…-