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\”Un sistema vecchio, superato, inutile e dannoso. Sto parlando delle nomine Rai, della lottizzazione selvaggia che da sempre è la risultanza di questo rito. Io dico: basta! Non se ne può più! la Tv di Stato è la Tv di tutti, non della politica, non dei Partiti! E\’ necessario trovare un gruppo dirigente che sia capace, che se ne intenda, che possa riportare la Rai ai fasti di un tempo. Invito quindi la politica a non perseverare nella logica della spartizione, ma a fare finalmente un passo indietro\”.

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Fonte: La Stampa – Sui bastioni dei due maggiori eserciti Bersani e Berlusconi, intenzionati per motivi diversi a non bruciarsi le dita con il dossier Rai, scrutano il campo di battaglia e impartiscono gli ordini di scuderia.

Quello di Berlusconi, al di là dei colpi di avvertimento sparati dai suoi contro il futuro management, è «calma e gesso». Il Cavaliere pare infatti disposto a mettere alla prova il nuovo management di tecnici, senza pregiudizi di sorta; e attende al varco l’avversario.

Bersani, dopo tutto ciò che è stato imputato al Pd per le authority, non vuole partecipare alla nomina del cda. «Sono fermo lì e non mi muovo», va dicendo da giorni.

Dopo i fuochi d’artificio contro la forzatura del governo che ha designato presidente e direttore generale senza chiedere il permesso, tutti si chiedono in che modo ora la commissione di Vigilanza riuscirà a nominare i sette consiglieri Rai. Il Pd ha già fatto sapere che voterà il presidente per non paralizzare l’azienda. E basta.

Malgrado le voci di pressioni per ammorbidire questa posizione che starebbero giungendo dallo stesso Monti e, c’è chi dice, anche dal Colle. E malgrado nella minoranza di Veltroni, Gentiloni e Fioroni più d’uno non condivida la linea dell’Aventino.

«E’ da gennaio che abbiamo detto che questa governance è sbagliata, il governo poteva forzare anche sulla riforma e non l’ha fatto e noi non voteremo nessun consigliere», ripetono però gli uomini del segretario. Che non credono all’ipotesi di un Pdl capace di spingersi fino al punto di nominare da solo l’intero Cda.

«Se vogliono, si votano i loro nomi e se ne assumeranno tutta la responsabilità». Tradotto, se così fosse il Pd avrebbe un argomento forte da giocarsi in campagna elettorale. E questa linea dura non arretra neanche di fronte all’ipotesi, lanciata ieri mattina da Fioroni e sposata poi da Casini, che sia il governo a indicare sette nomi super-partes per il Cda. «Non li voteremo lo stesso, si griderebbe ugualmente alla spartizione».

L’ Udc accetta il lodo Fioroni, dicendosi pronto a rinunciare ad esprimere candidature se il governo indicherà direttamente anche i 7 consiglieri. E Casini invita tutti a più miti consigli.

«Perché mi sembra necessario che questa decisione unilaterale del Pd non porti alla conseguenza di un Consiglio di Amministrazione a senso unico. Non sarebbe un gran risultato per nessuno». Ma Gasparri liquida come «totale demagogia» l’idea «di un governo che indica tutti i consiglieri, violando leggi e sentenze della Consulta».

Insomma, la domanda che qualcuno nel Pd solleva su come farà Bersani a uscire da questo «vicolo cieco che ci obbligherebbe a fare i conti per tre anni con un cda della Rai magari a maggioranza Pdl», fotografa bene lo stallo.

Il Pdl appunto non pensa affatto ad accettare anche una rosa di sette consiglieri imposti dal governo. Che, come fa notare Cicchitto, con la forzatura sulle figure apicali, di fatto ha già quasi commissariato l’azienda.

«I nomi proposti sono di tutto rispetto, ma non si capisce il perché di una improvvisa sostituzione di Lorenza Lei», obietta il capogruppo Pdl. Contestando soprattutto «l’ipotesi di modificare del tutto ruoli e poteri, con un fortissimo depotenziamento del Cda e del dg. Pensare di snaturare del tutto gli assetti rovesciando pesi e contrappesi potrebbe diventare una forzatura inaccettabile», è l’avvertimento finale.

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