\”Non mi stupisce, ma desta comunque orrore leggere di certi fatti: un papà che dice a suo figlio di ammazzare la sorella. Fermiamoci un attimo a pensare bene al valore di questa frase, pesiamola bene; è un monito per tutti coloro che pensano che la mafia sia un concetto esasperato di protezione della Famiglia. Non è così. E\’ solo una questione di soldi e del concetto distorto che questi malviventi assassini hanno dell\’onore. Che onore c\’è nel direi al proprio figlio: \”Va\’, e ammazza tua sorella\”?
Così Pino Masciari commenta la notizia sulle dichiarazioni di Rosa Feraro.
Di seguito, l\’articolo del Corriere della Sera.
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«Mio padre aveva detto che dovevano fare quello che era giusto. Mi dovevano uccidere». La voce incespica: «Doveva farlo mio fratello, ma lui mi ha detto \”Io non ti ammazzo\”». Per un attimo Rosa Ferraro cede alla commozione mentre racconta come la sua famiglia la condannò a morte perché era diventata un testimone pericoloso sugli affari dei Pesce di Rosarno, la più potente cosca della \’ ndrangheta con un esercito di affiliati inquadrati in 30 «locali» e in una miriade di \’ ndrine, con interessi nella droga e in traffici che si estendono fino a Reggio Calabria e a Milano. Per interrogare la Ferraro, una delle due donne che stanno testimoniando nelle indagini sulla \’ ndrangheta, il tribunale di Palmi si è trasferito per tre giorni a Milano. Rosa, 58 anni, compare nell\’ aula bunker di via Ucelli di Nemi, teatro negli anni 90 dei processi alla criminalità organizzata in Lombardia. Quando i pochi avvocati presenti (altri sono con gli imputati collegati in videoconferenza) chiedono di togliere il paravento che la nasconde per motivi di sicurezza, lei non si scompone: «Non ho paura di nessuno». Testimonia come se quello che le è accaduto sia parte dell\’ ineluttabilità della sua condizione di donna di \’ ndrangheta. Racconta che alla fine degli anni 90, lasciò marito e figli grandi a Genova («ero troppo gelosa, mi metteva le corna») per tornare a Rosarno in casa del padre. Lì per 300 euro al mese assiste la suocera del cugino Salvatore Pesce (padre dell\’ altra pentita Giuseppina). Detto «Il babbo», esponente della cosca, Salvatore è uno dei 77 imputati del processo, originato dall\’ inchiesta «All inside» della Dda di Reggio Calabria, che ha già portato alla confisca di beni per 224 milioni. La donna assiste ai traffici di droga, alle estorsioni e alle rapine in una Rosarno «in mano loro e terrorizzata», e sa di messaggi che, tramite un\’ avvocatessa milanese, arrivavano a Salvatore Pesce da un parente rinchiuso a Opera. Un giorno cede alle richieste e si presta ad aprire un conto in banca sul quale opera Salvatore, ma il 18 maggio 2006 la Guardia di Finanza bussa alla sua porta chiedendole di alcuni assegni a vuoto. Quando le rivelano che Salvatore Pesce le ha intestato un supermercato, Rosa si inferocisce, corre a protestare: «Mi mittisti \’ nte i casini!». Rispondendo alle domande del pm di Reggio Calabria Alessandra Cerreti, racconta: «Mi cacciò via, disse \”sono stufo di sentirti, raccogli la roba e vattene a Genova, sennò ti porto in campagna, faccio una buca e ti ci metto\”. Gli risposi \”va be\’ , tu dici che mi ammazzi, io vado dalla Guardia di Finanza e racconto quello che so di te». Aveva violato le regole della criminalità. Rosa Ferraro non si è mai fatta mettere i piedi in testa facilmente, se non dal marito, come nella peggiore tradizione della \’ ndrangheta che vuole donne schiave di mariti-padroni. Una volta prese a schiaffi un carabiniere che, secondo lei, provocava suo figlio, che era agli arresti domiciliari, e fu condannata a 6 mesi. Un\’ altra scese in strada con un coltello per difendere il marito da due uomini che lo picchiavano perché infastidiva una donna e un\’ altra ancora se la prese con una vicina che l\’ aveva offesa distruggendole le piante sul pianerottolo. Provano a intimidirla, prima due uomini napoletani che la fermano per strada, poi tre che la minacciano in casa: «Stai attenta a quello che fai perché fai conto che sei morta». A maggio 2006 la famiglia si riunisce, il codice del presunto onore mafioso assegna ai Ferraro il dovere di lavare l\’ onta del tradimento. A Rosa lo racconta il fratello Marco, che ha un lieve ritardo mentale per un incidente di cui fu vittima da piccolo, ma capisce bene cosa i parenti vogliono da lui. «Mi disse che c\’ erano tutti gli zii, le zie, i cugini e pure mio padre. \”Hanno detto – ripete le parole di Marco – che io ti ammazzo e non ti pago (non mi condannano, ndr ) perché sono malato. Ma io non ammazzo mia sorella\”. Mio padre non ha negato (non si è opposto, ndr ) perché dovevano fare quello che era giusto». Rosa è rassegnata, quasi lo supplica: «Ammazzami tu perché tanto ci sarà chi mi ammazza». Il giorno dopo va dalla GdF e comincia la collaborazione. Saranno le Fiamme gialle a prelevarla a sirene spiegate di lì a poco per evitare che faccia la fine di Lea Garofalo, la ex collaboratrice rapita a Milano dalla \’ ndrangheta, uccisa e sciolta nell\’ acido: «Dovevo andare al cimitero, mi hanno telefonato, mi hanno detto che c\’ era uno preso da Salvatore per uccidermi nascosto dietro un albero. Devo la vita a loro»
Non posso che condividere le parole di Pino, aggiungendo che invece un po’ mi stupisce il comportamento del fratello..ma forse è perchè so che ci sono anche queste cose che continuo a pensare che se tutti lo vogliamo le cose possono cambiare 🙂