In trent’anni di denunce e di lotta alla criminalità, in tutte le sue espressioni, dal giro di affari della ‘ndrangheta alle connivenze con il mondo politico istituzionale, c’è un dettaglio che davvero mi risulta incomprensibile.
La fine del programma speciale di protezione non ha cancellato quello che sono stato: tredici lunghi anni, percepiti come un’estenuante attesa, a causa delle limitazioni alle quali io e la mia famiglia siamo stati sottoposti.
Eppure oggi sono definito “ex-testimone di giustizia”. È un’assurdità! Innanzitutto esiste ancora l’attualità delle mie denunce, come si evince dalla cronaca quotidiana e non solo! Poi mi chiedo: “ex” indica la cessazione di uno stato, ma non mi risulta che si possa diventare ex-testimoni.
La mia è stata una scelta di vita, compiuta in nome della legalità e della libertà, per la quale ho stravolto il mio percorso lavorativo e familiare.
Scegliere di testimoniare non è un lavoro che ha un inizio e una fine. È un percorso interiore di consapevolezza e assunzione delle proprie responsabilità, dei propri doveri e dei propri diritti! Non è una condizione che può terminare.
Si tratta di una scelta radicale, che orienta in modo permanente ciò che si è e ciò che si sarà, ponendo sotto una nuova luce anche ciò che si è stato. È lo stravolgimento di una vita.
Non possono esistere ex-testimoni di giustizia! Questo è un linguaggio burocratico e impiegatizio che non può essere applicato ad una dimensione di così alto valore, alla coscienza, alla morale.
Lo Stato si metta concretamente a fianco dei cittadini onesti, non per “incasellarli” e “definirli”, ma per guidarli, sostenerli e valorizzarli per le scelte compiute a difesa del bene comune!