La crisi economica morde duramente il sistema produttivo europeo e in modo particolare quello italiano. Gli indicatori della Banca centrale europea non lasciano adito a dubbi sulle difficoltà che stiamo vivendo. Ci sono sempre più poveri: il ceto medio è stato cancellato. L\’economia mondiale è in mano ad una ristretta oligarchia tecnocratica: sempre più potente, sempre più ricca.
Questo schema sociale non può essere più accettato. Dobbiamo costruire un modello di produzione e distribuzione della ricchezza in cui il profitto non sia la categoria regolativa delle relazioni sociali, perchè l\’uomo non è una merce, non è una cosa.
Il nostro Paese è fragile sul piano produttivo: a conclusione della crisi muterà profondamente l\’attuale struttura socio-economica. Si sta chiudendo l\’era delle fabbriche pesanti (meccaniche, chimiche, siderurgiche), eredità del Novecento. E\’ stato smantellato quasi totalmente il polo tessile. La delocalizzazione della produzione, nei paesi in via di sviluppo, ha cambiato la faccia del pianeta e probabilmente le direttrici della crescita economica.
Dobbiamo ridisegnare completamente il nostro futuro, puntando sull\’innovazione tecnologica, la new economy, le fonti di energia rinnovabile, il turismo culturale, il terzo settore. Il Sud è, poi, una grande opportunità per il Paese: non possiamo continuare a trattarlo come una mera riserva di braccia e cervelli per il mercato del lavoro settentrionale.
Occorrono idee nuove e coraggiose, che mettano l\’imprenditoria giovanile al centro del processo sociale. Serve uno spirito nuovo per costruire l\’Italia del terzo Millennio. Un Paese che deve dare speranza ai giovani.
Italia, We care!! Noi ci crediamo
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Fonte: Il Fatto Quotidiano – Crisi, la Bce: dal 2008 al 2010 bruciati 4 milioni di posti di lavoro. Nei due anni di maggiore difficoltà economica il tasso di occupazione in Unione Europea è sceso di 1,7 punti. Nel 2012 il tasso di disoccupazione è stato dell\’11,3%. La riduzione più significativa del manifatturiero. L\’Eurotower: bene il piano anti-spread, ma servono ancora riforme
Tra l’inizio della crisi economica e finanziaria nel 2008 e il primo trimestre del 2010 il numero di posti di lavoro nell’area dell’euro si è ridotto di oltre 4 milioni di unità. L’occupazione, infatti, è diminuita del 2,8% rispetto al livello massimo del primo trimestre del 2008. Lo scrive nel suo bollettino la Banca Centrale Europea. Dal primo trimestre del 2008 al primo trimestre del 2010, rileva l’Istituto di Francoforte, il tasso di occupazione è sceso di 1,7 punti percentuali, al 64,2%. Nonostante la gravità della crisi, osserva la Bce, “l’adeguamento dell’occupazione è stato relativamente contenuto a livello aggregato”. Nelle fase iniziali della crisi, spiega l’Istituto di Francoforte, “le imprese hanno mostrato una netta preferenza per forme di flessibilità interna, come la riduzione degli straordinari e il ricorso agli accordi lavoro a orario ridotto, contribuendo a mitigare la correzione dei livelli occupazionali (misurata in unità). La riduzione delle ore lavorate totali nell’area dell’euro (-4,5%) è stata infatti sensibilmente più marcata rispetto al calo del numero di occupati (-2,6%)”, tra il primo trimestre del 2008 e i primi tre mesi del 2010.
Nel secondo trimestre del 2010 la disoccupazione di lunga durata nell’area ha invece raggiunto il 67,3% della disoccupazione totale, con un aumento di 7 punti percentuali rispetto al primo trimestre del 2008. L’Eurotower peraltro precisa che è con il protrarsi della crisi e delle difficoltà a trovare un lavoro che il numero di disoccupati di lunga durata ha iniziato ad aumentare all’inizio del 2009.
Tasso di disoccupazione a luglio dell’11,3%
Dal 2008 le condizioni dei mercati del lavoro nell’area dell’euro sono “peggiorate drasticamente”, con un netto incremento del tasso di disoccupazione, che nel luglio del 2012 ha raggiunto l’11,3%: 4 punti percentuali in più rispetto al primo trimestre del 2008 quando si attestava al 7,3%, il livello minimo dall’introduzione dell’euro. Un elemento cruciale della crisi, rileva la Bce, sono le diversità molto marcate tra i singoli paesi dell’area dell’euro, considerando che le perdite occupazionali accumulate dal massimo al minimo sono comprese tra il -16 e il 0,4%. Ad esempio il numero di posti di lavoro è sceso di meno dell’1% in Belgio, Germania e Lussemburgo, nonostante la flessione del Pil in questi paesi sia stata in linea con la media dell’area dell’euro. Per contro, osserva l’Istituto di Francoforte, il numero di posti di lavoro è diminuito di oltre il 15% in Estonia e Irlanda e di oltre il 10% in Grecia e Spagna.
Crisi soprattutto per manifatturiero e costruzioni
La riduzione dei posti di lavoro nell’area dell’euro, sottolinea ancora la Bce, “ha interessato prevalentemente i settori manifatturiero e delle costruzioni”. L’adeguamento dell’occupazione nelle costruzioni è stato particolarmente significativo in Estonia, Irlanda e Spagna, riflettendo in parte una correzione del precedente boom degli immobili residenziali. Anche a causa del forte calo occupazionale nei settori manifatturiero e delle costruzioni, “i lavoratori più giovani e quelli meno qualificati hanno risentito maggiormente della crisi, in particolare questi ultimi”. I lavoratori più giovani, sottolinea la Bce, “sono stati particolarmente colpiti dalla crisi. Va notato, per contro, che durante la crisi i livelli occupazionali dei lavoratori più anziani (55-64 anni) sono chiaramente aumentati. Questo miglioramento delle condizioni nel mercato del lavoro per i più anziani potrebbe essere il risultato delle numerose riforme adottate recentemente in diversi paesi, in particolare quelle pensionistiche che mirano a favorire la permanenza dei lavoratori più anziani nel mondo del lavoro”.
In generale gli ultimi indicatori economici per l’Eurozona confermano “il perdurare della debolezza dell’attività nel terzo trimestre, in un contesto caratterizzato da elevata incertezza”, ma “i rischi per le prospettive economiche sono orientati al ribasso”. “Il consiglio direttivo – si legge – si attende che l’andamento dell’economia dell’area rimanga contenuto nel breve periodo e che successivamente evidenzi un recupero solo molto graduale”.
Per la competitività servono riforme incisive
Quindi come reagire? Per aumentare la competitività dei Paesi dell’Eurozona più colpiti dalla crisi, occorrono – scrive l’istituto guidato da Mario Draghi – “riforme incisive dei mercati del lavoro e dei beni e servizi”. Si registrano per contro i “progressi rimarchevoli nella correzione del costo del lavoro” e dell’andamento delle partite correnti.
Poi gli aspetti finanziari. Il consiglio della Banca centrale si dice pronto a partire con gli acquisti dei titoli di Stato dei Paesi in difficoltà sugli spread, “sempre che le condizioni imposte dai programmi siano integralmente rispettate”. Il bollettino della Bce ricorda che il piano anti-spread ha allontanato i timori di “scenari nefasti”. Tuttavia “le riforme strutturali sono altrettanto essenziali del risanamento dei conti pubblici e delle misure tese a migliorare il funzionamento del settore finanziario”.
Buone notizie dallo spread. Fra fine agosto e inizio ottobre, secondo i dati dell’istituto centrale, la Grecia ha riportato il calo maggiore dello spread, pari a oltre 400 punti base. L’Italia e la Spagna “hanno registrato riduzioni significative, superiori a 100 punti base”.