articolo di Grazia Candido e foto di Marco Costantino (Strill.it)
“Tabularasa Formamentis” chiude il ciclo di incontri dedicato agli studenti calabresi e lo fa con tre uomini che si impegnano ogni giorno, ognuno a suo modo, per “avere una Calabria più libera, unita e compatta nella lotta contro le mafie”.
Sul palco del teatro “Cilea” questa mattina a raccontarsi e spronare i giovani a “non abbassare la testa”, il presidente del Tribunale di Reggio Calabria Luciano Gerardis, l’ex imprenditore calabrese e testimone di giustizia Pino Masciari e il Gip del Tribunale di Palermo, Piergiorgio Morosini. All’appuntamento non è voluto mancare il dirigente del Settore Cultura della Regione Calabria Massimiliano Ferrara che ha evidenziato “la grande opportunità che la testata on line Strill.it ha dato alla città creando un’operazione culturale di ampio respiro che serve a recuperare gli antichi fasti ed aiuta a migliorare la nostra realtà”.
Poi la parola è passata all’ex imprenditore edile catanzarese Masciari che, insieme a sua moglie e ai suoi due bambini, è stato “costretto a vivere in esilio dalla sua terra solo perché ha denunciato i malavitosi che lo ricattavano”. “Sono nato a Catanzaro e da ragazzo avevo un sogno: volevo diventare uno stimato imprenditore. Mio padre si ammalò e io dovetti prendermi cura della mia famiglia, eravamo 9 figli. Abbandonai la facoltà di ingegneria e negli anni ’80 entrai negli appalti pubblici ma ancora disconoscevo il cancro che sta distruggendo non solo la Calabria ma tutta l’Italia, la ‘ndrangheta. Sono cresciuto nel rispetto delle leggi e del mio prossimo – afferma Masciari – non avrei mai permesso a nessuno di limitare la mia libertà di uomo. Hanno iniziato a farmi richieste estorsive chiedendomi prima il 3%, poi il 6% sui proventi degli appalti ma io ho saputo dire no perché non volevo essere un loro complice. Li ho denunciati ma poi, per me e la mia famiglia, è arrivato l’isolamento”. La scelta di opporsi alla ‘ndrangheta e scegliere la via della giustizia è stata decisamente coraggiosa ma per l’ex imprenditore inizia “la fuga e l’allontanamento dai suoi cari per poter sopravvivere”. Nel suo racconto Masciari non cela la rabbia contro “chi si piega al bieco gioco di criminali pronti anche ad uccidere” e la delusione verso “alcune istituzioni per nulla integerrime e con all’interno elementi corrotti, che sottovalutavano le vere vittime, io e la mia famiglia, costretti a cambiare abitazione ogni tre, quattro mesi e a vivere segregati”. Masciari tuona contro le istituzioni e denuncia anche “l’assenza di una scorta quando torna in Calabria e, pur avendo tanti amici al suo fianco, non è per nulla pentito di avere denunciato i vari boss calabresi e di aver scelto la via della legalità”. “I miei figli non hanno vissuto un’infanzia tranquilla, sono scappati dalla loro terra di notte e hanno potuto rivedere i nonni solo dopo 10 anni – si tormenta l’ex imprenditore – Io sono un numero di matricola, 1663, e sono anche l’unico che non può tornare in Calabria ma, pur amandola e orgoglioso di essere calabrese, non vivrò mai più qui. Se mi ammazzeranno la colpa sarà di tutti soprattutto dei calabresi ma sono contento di aver vissuto con dignità”. Nello sfogo accorato dell’imprenditore si contrappongono due realtà: la voglia di non piegarsi alla criminalità organizzata e la delusione di non poter lavorare nella sua terra.
“Forse è vero che un popolo ha bisogno di eroi – aggiunge il gip Morosini – e la storia di Masciari dimostra che per vedersi riconoscere i propri diritti è costretto a gesti di eroismo. Ho lavorato per parecchi anni in Sicilia e qui ho avuto modo di conoscere la Criminalità organizzata. In quel periodo, tra i vari capi di Cosa Nostra c’era un giovane di 20 anni che si occupava di traffico di stupefacenti e, dopo anni, scoprii che era stato anche il mandante dell’omicidio di un direttore di banca. Siamo di fronte a storie di giovani contro i giovani. La battaglia contro la criminalità non consente di girarsi dall’altra parte, far finta di niente. So che è difficile ribellarsi alle mafie e che quando lo si fa, spesso si resta soli, ma la legalità non è solo la divisa o la magistratura ma è il sentimento della comunità che ha il coraggio della verità e si batte nel quotidiano non solo per i propri diritti ma anche per quelli degli altri”.
Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente del Tribunale di Reggio Calabria Gerardis che, pur consapevole dei numerosi problemi presenti in città, sottolinea “l’inizio di un percorso nuovo intrapreso dalla comunità in sinergia con le istituzioni che ci porterà verso un’unica verità, quella della legalità, e che impone una concordanza istituzionale”. “La legalità non è solo il rispetto delle regole, l’affermazione della legge ma trova il suo fondamento anche sulla cooperazione dei cittadini – aggiunge Gerardis – La magistratura è uno strumento della legalità ma noi non siamo i depositari di questo strumento perché la legalità si afferma nella coscienza comune. La città non è morta, è viva e crede in certi valori che saranno affermati solo se siamo tutti insieme”. Il presidente Gerardis prima di andar via fa un appello a tutti i ragazzi scuotendo quel mistico silenzio in sala: “non dovete rinunciare a due cose: l’indignazione e il sogno. Non vi fate trasportare dall’indifferenza, indignatevi e riflettete. Tutti insieme – conclude Gerardis – possiamo costruire una società nuova priva di mafiosi barbari capaci solo di distruggere la nostra civiltà, i vostri sogni”.