di Roberto Galullo (dal blog Guardie o ladri)
Gioia Tauro: il cinismo della ‘ndrangheta, i Piromalli che dettano legge e le 3 partite che lo Stato non può perdere.
Se nella Piana di Gioia Tauro non ci fosse stata la cosca Molè a rompergli le uova nel paniere, la famiglia alleata Piromalli avrebbe da quel dì puntato tutto sulla diversificazione degli affari a braccetto con la politica corrotta. Guardava lungo.
Invece no e giù a contrapporsi tra l’ala militare e tradizionale (Molè) e quella economico-finanziaria (Piromalli) che in casa aveva professionisti affermati o in via di affermazione, dalla Calabria alla Lombardia, dall’America all’Asia, pronti a dare uno scossone imprenditoriale. All’origine degli assassinii e della rottura del patto tra le due famiglie c’è anche – c’e soprattutto – questo.
Antonio Piromalli fu arrestato mentre stava per dire addio per sempre alla Calabria e trasferirsi a New York, dove avrebbe cementato la passione per la bella vita con quella per il business internazionale.
Il Porto di Gioia Tauro? Si, per carità, una bella avventura ma l’ala imprenditoriale della ‘ndrangheta guardava e guarda oltre. Anche e soprattutto oggi.
Ragionare come se il Porto di Gioia fosse stato o sia l’unica risorsa, diretta o indiretta, a disposizione delle cosche della Piana – e del ramo della famiglia Piromalli sopravvissuto alla repressione dello Stato – sarebbe lasciare i ragionamenti fermi a 30 anni fa. Si, per carità importante, cosa di famiglia (anzi: di famiglie) ma, parliamoci chiaro: per le cosche che il Porto ci sia a certe condizioni torna utile, sennò chissenefrega.
Le armi, la droga, le merci contraffatte possono approdare ovunque ci sia un porto e sia possibile piazzare uomini fidati o corromperne di nuovi: da Salerno a Genova, da Rotterdam a Francoforte, da Trieste a Bari.
Anzi: se vengono meno le condizioni di tranquillità (nulla turba più che le mafie del fatto che il silenzio e l’omertà vengano interrotte), forse è meglio che il Porto non ci sia, così almeno gli affari sporchi si fanno in relativa tranquillità. Affari che non guardano al presente (o solo al presente) ma al futuro (soprattutto al futuro).
Muore il porto – in questo momento alle prese con una grave crisi, scontri interni, polemiche tra compagnie, fermi improvvisi, attentati, scontri politici – e allora?
Allora magari domani quell’enorme area diventa altro e gli enormi investimenti (che fanno gola alle cosche) saranno dirottati verso nuove forme di business. Un porto turistico, un’enorme riconversione turistico-alberghiera e/o industriale o qualcosa su cui continuare a fare affari e compromessi, compromessi e affari.
E’ anche per questo importante che la Calabria, l’Italia intera, decidano presto e bene sul futuro di un porto che non può e non deve essere visto solo come uno scalo di transhipment: sono decenni che si discute del suo futuro (piattaforma logistica mediterranea, piastra del freddo, investimenti ferroviari, zona industriale e chi più ne ha più ne metta) ma ancora non si vede la luce.
Una battaglia che lo Stato non può perdere perché sporcherebbe una delle poche facce presentabili che ha al Sud, con un volano economico che ha sprigionato una minima parte delle sue potenzialità ma che è vitale. E’ incredibile come la politica nazionale (dalla destra alla sinistra passando per il centro, per non parlare della Lega) trascuri il fatto che l’economia portuale è uno degli elementi cardini nell’architrave di un Paese. La Germania e l’Olanda l’hanno capito da decenni, la Spagna da anni, i Paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo sono aggressivi come mai: è possibile che un Paese come il nostro, circondato dall’acqua, faccia così fatica a capire che deve giocare le proprie carte o sarà cancellato dalla rotte internazionali?
Ciò detto, ci sono altri due motivi – meno visibili alla massa addormentata dall’informazione tutta culi e tette, ma non indifferenti – per i quali lo Stato deve riaffermare la propria dignità e il proprio ruolo di indirizzo e governo nel Porto e da lì sulla Piana.
Primo, e non appaia secondario: trovando non “una” soluzione ma “la” soluzione con il lancio definitivo dello scalo marittimo della Piana, verrebbero messe all’angolo le frange sindacali interne che non si riferiscono a logiche lavorative ma a interessi terzi, di chi ha la volontà, mai venuta meno neppure sotto la repressione dello Stato, a controllare il Porto dall’interno. Dentro il Porto ci sono lavoratori “intoccabili” che condizionano politiche, strategie e rapporti e nel passato sono girate, abilmente mascherate, anche le liste degli “amici degli amici”. Il Governo grida all’unisono con Sergio Marchionne per il successo di Torino ma deve rendersi conto che a Gioia Tauro si gioca – forse non lo sa perché c’è chi ha interesse a sottacere gli eventi mafiosi – una partita ancor più importante in termini di politica industriale e sindacale.
Secondo: il Governo – che vanta un giorno si e l’altro pure – sequestri, arresti e confische (continuando dunque a ragionare come se la ‘ndrangheta fosse solo un fenomeno militare da sconfiggere e non anche intellettuale e culturale da prevenire) indebolirebbe l’ala politico-imprenditoriale della cosca Piromalli e delle ‘ndrine a lei riferibili o comunque in patti d’affari e affermerebbe di fronte all’Italia intera: qui comando io. La legge, l’unica legge, è quella dello Stato.
E’ bene che questo Governo sappia che in questo momento l’ala affaristico-politico delle famiglie della Piana ha rialzato la testa e riposto le armi, badando al sodo – cioè gli affari – grazie all’accordo cementato con la finanza corrotta e la politica mafiosa portata fino in Regione. Alcuni personaggi della Piana (portavoci delle cosche) da alcuni mesi in confidenza ricordano che uno tra i consiglieri più votati e importanti e per questo portato a compiti di comando, ma finora mai sfiorato da indagini, è stato eletto anche con i voti degli “amici” della Piana, con il cuore biologico a sinistra e il portafoglio politico a destra.
Come si vede, dunque, ci sono tre motivi – uno più importante dell’altro – per vincere la partita di Gioia. Basteranno l’abbattimento delle tasse d’ancoraggio, l’accesso alle agevolazioni fiscali e la politica di risparmio energetico sul tavolo del Governo per dare una rotta stabile e un approdo sicuro alla Piana e al suo Porto?
La risposta è una sola.